«Questa è la guerra del mondo arabo. Diviso dai tanti interessi stranieri». A una anno dallo scoppio della guerra civile in Siria, la visione di Gregorio III Laham, Patriarca della Chiesa melchita, non cambia. «Il mondo avrebbe dovuto aiutare il regime a cambiare. Invece è rimasto immobile e continua a osservarci mentre sprofondiamo nel disordine». Abbiamo incontrato Sua Beatitudine pochi giorni fa, mentre era a Piacenza, dopo che aveva compiuto una lunga visita in Europa, per incontrare i confratelli di rito greco cattolico e, al tempo stesso, percepire il pensiero occidentale di quel che sta accadendo a Damasco.
Patriarca Laham, la Siria è famosa per essere il Paese dei misteri. Adesso, anche in questa guerra civile, sono molte le ombre che gravano sul regime e anche sul fronte dell’opposizione. La domanda è molto diretta: chi spara a chi?
La Siria è caduta nel caos. Tutto il Medioriente è stato attraversato da questo tsunami rivoluzionario. Ora il terrorismo straniero sta prendendo il sopravvento. Qualche giorno fa, quand’ero in Germania, mi sono messo a leggere i giornali europei, un po’ di tutte le lingue, e mi sono accorto della visione assolutamente parziale che voi avete delle cose. È sbagliato dire che il governo siriano sta uccidendo civili innocenti. Anche i manifestanti hanno le loro armi. Anzi, sono molto più organizzati di quanto si possa credere.
Lei pensa che siano sostenuti da governi stranieri?
Ne sono convinto! Sappiamo che le armi circolavano nel Paese prima dell’inizio delle manifestazioni. Come pure che la Siria è piena di depositi di armi illegali che ormai la polizia non riesce più a scovare. Del resto, siamo in una posizione di passaggio tra da sempre: fra la Turchia e la Penisola arabica. Un punto di transito inevitabile. E poi intendiamoci, un poliziotto lo sanno pagare tutti.
Anche prima? Anche quando Assad aveva ben saldo il potere?
Anche prima. Anche quando gli alawiti controllavano il territorio, con i loro clan e gli apparati di sicurezza. Una mazzetta la accettano tutti anche se si è alawiti. Certo, adesso è tutto molto più semplice. Nessuno sta più di guardia alle frontiere. I gruppi di criminali comuni, o di terroristi, o ancora di oppositori stranieri penetrano indisturbati nel Paese e arrivano a nutrire di nuove idee e soprattutto di forze fisiche chi già combatte contro il regime. È questa la situazione. Non come si legge sui vostri giornali. Le faccio l’esempio di un recente corteo che si è svolto nella mia città natale, Darayya. In piazza c’erano poche persone, circa trecento. A un certo punto un gruppo di questi ha preso d’assalto una stazione della polizia. Ma non limitandosi a scagliare pietre. Bensì sparando. Gli agenti hanno risposto al fuoco e nello scontro ci sono stati tre morti. La stampa occidentale si è limitata a dire che i poliziotti hanno ucciso tre persone. È diverso da come la sto raccontando io. Le aggiungo che poi, proprio in occasione dei funerali di quei tre morti, c’erano diecimila persone. E tutto si è svolto in pace. Un po’ strano per la commemorazione di tre oppositori assassinati dalla polizia. Possibile che un corteo di appena tre centinaia di partecipanti finisca nel peggiore dei modi e poi, quando ci sono diecimila persone, non succeda nulla? Vuole un altro esempio?
La prego…
Un nostro fedele – un cristiano stia ben attento! – era Dubai per affari. Camminando per strada ha sentito una persona vicina lui parlare al cellulare: «Sono a Homs! Stanno sparando! È pieno di morti!» Ma questo non era a Homs. Bensì a Dubai. È possibile che dall’altra parte del cellulare ci fosse un giornalista che ha creduto nel racconto farsa di questo bugiardo. Mi spiego quando le dico che i media occidentali sono vittime di una manipolazione studiata a tavolino, da parte di arabi di altri Paesi? Tra armi vendute sottobanco e notizie false, stanno strumentalizzando la nostra sofferenza.
Ma questo perché?
Per il caos. C’è molta gente che vuole spera di guadagnare da questa situazione. Senza rendersi conto dei rischi però. Il mondo ha già emesso la sua sentenza su Damasco: «Delenda Cartago» Poi a quel che verrà dopo, ci si penserà.
Quindi non crede che Assad si stia macchiando di una strage e che l’opposizione abbia il diritto di essere ascoltata?
L’opposizione è troppo divisa. Non può pretendere di essere l’alternativa valida a un regime che ha garantito stabilità per oltre quarant’anni. E poi non ha un vero esercito che l’appoggi.
Molti militari hanno disertato.
Non più di 1.500. Nulla in confronto alla fedeltà riscossa da Assad tra le fila delle Forze armate. Peraltro, e con questo rispondo alla prima parte della sua domanda, l’esercito ha ricevuto l’ordine di non sparare se non perché attaccato. L’Occidente lo deve capire: il regime non ha interesse a essere messo dalla parte del torto. E a nessuno piace questa situazione. Certo, prima le cose non erano facili. Perché il servizio segreto era terribile. Mentre l’economia stentava a decollare. Tuttavia, la Siria aveva imboccato la giusta strada. Laicismo, convivenza etnico-religiosa e sicurezza. Tre pilastri sui quali Bashar el-Assad stava costruendo le riforme. Si ricordi che a Damasco, a dispetto di tutte le critiche, c’erano le università straniere. Le stesse che adesso sono chiuse. Commercio e turismo erano due opportunità su cui non solo noi cristiani intendevamo affermare un futuro di progresso. Erano fonte di speranza per tutti. Ora il Paese è fermo.
Qual è stato l’errore?
L’errore è stato non permettere al regime di cambiare. Lo sbaglio lo si sta commettendo ancora adesso. Il referendum sulla Costituzione e le elezioni amministrative fissate per il 7 maggio sono un gesto di riconciliazione che Assad sta compiendo verso tutti gli avversari. Nazionali quanto stranieri. Eppure non lo si vuole capire. È dall’estero che ci si ostina a negare il dialogo con il governo.
Dall’estero da dove?
Dai Paesi arabi, ma soprattutto dall’Europa. E forse anche dagli Stati Uniti. Si pensa che il regime sia il peggiore dei mali. Senza rendersi conto che senza Assad si rischia davvero tanto.
Lei cosa prevede?
Il caos totale. Né più né meno. Con il pericolo di coinvolgere Israele, Libano e Giordania. Perché non credo che, dall’altra parte del confine Netanyahu sia tranquillo. Nel frattempo a Tripoli, in Libano, ci sono stati degli scontri tra alawiti del posto e (pare) gente scappata dalla Siria. Un incidente che ha coinvolto anche gli uomini di Hezbollah. E poi pensi alla Giordania: prima della guerra, era la Siria il suo primo partner commerciale. Come può notare, le ripercussioni negative sono già in atto. E francamente penso che sia difficile mettervi un freno. La chiesa greco cattolica ripone le speranze nel grembo di Kofi Annan e di monsignor Tomasi (l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, ndr).
Ecco, a proposito della Chiesa. Voi cristiani, che in Siria avete una così lunga tradizione, vi sentite in pericolo?
Finora la guerra non ha assunto dei risvolti confessionali. Questo però non significa che ci possiamo sentire tranquilli. A Qusayr sono morti sette melchiti. Molti altri sono scappati dai luoghi più colpiti. La nostra fortuna è di convivere con una maggioranza musulmana che sa di avere di fronte una chiesa solida e amica. In un Paese dove la libertà religiosa è un punto di merito per tutti, il cristianesimo si sente a casa. Del resto, la Siria è casa nostra! Così come lo sono il Libano, la Giordania e ovviamente la Terra Santa. Un mondo afflitto da turbolenze politiche, ma nel quale l’intervento della Croce è stata sempre un’iniezione positiva di dialogo. Tutto questo può crollare se prevarrà la violenza salafita.
27 Marzo 2012