AnamorfosiSull’invidia

Scrivo dopo aver letto di questa vicenda: le mamme che ritirano i figli dall’asilo, mettendo in dubbio la professionalità della bella maestra, che a tempo perso fa la modella. C’è chi ha denunciato...

Scrivo dopo aver letto di questa vicenda: le mamme che ritirano i figli dall’asilo, mettendo in dubbio la professionalità della bella maestra, che a tempo perso fa la modella. C’è chi ha denunciato l’invidia delle donne per le altre donne, facendone una questione di genere; perché gli uomini fanno gruppo, in virtù del loro cameratismo. Le donne no, come la strega di Biancaneve offrono doni avvelenati alla bellezza di turno, condannata a pagare per l’equipaggiamento genetico che le è toccato in sorte.
Sì, succede. Ma l’invidia è una faccenda ben più complessa. Soprattutto non è femmina. È umana, e persino troppo, al punto da essere insita nell’atto stesso del guardare: ciò di cui l’altro gode e di cui si è mancanti. Come il bambino che, racconta Sant’Agostino, contempla il fratellino più piccolo attaccato al seno materno. Irreversibilmente segnato da una perdita – perché è svezzato, e il seno della mamma non è più per lui, è un oggetto che gli è stato dato e tolto (Melanie Klein, in ambito psicoanalitico, si è occupata molto di questo) – il bimbo suppone all’altro la beatitudine della pienezza; la vede nella scena di cui è spettatore, e l’effetto di questa immagine è una sorta di “amaro in bocca”. Ecco il gusto dell’invidia. E lo conosciamo tutti, non c’è bisogno di aggiungere altro. Solo che ognuno sceglie che cosa farsene.
C’è chi questo amaro lo sputa addosso all’altro, per contaminarlo, per rovinare un po’ quella sua perfezione insopportabile agli occhi. C’è chi lo ingoia silenziosamente, disprezzando se stesso per tutto ciò che non è e che non ha. C’è chi trasforma l’invidia in adorazione ed emulazione. C’è chi fa tutte queste cose insieme. Perdendosi. Perché in fondo si potrebbe anche patire un po’ di meno, se di questo sguardo non si facesse una malattia. Se si cominciasse davvero a pensare che le immagini non dicono la verità. Che anche quell’essere, che appare così gaudente con i beni preziosi di cui dispone, in realtà prova ad arrangiarsi con la vita come può, come tutti. Che è l’unicità della propria persona a contare davvero. Ed è lì che bisogna guardare.

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