Luc Besson ha girato due film che se potessi gli darei un bacio in fronte: Léon e Il Quinto Elemento.
Non faranno la storia del cinema forse, ma per quanto mi riguarda il killer Léon e la piccola Mathilda sono tra i personaggi più commoventi che io ricordi e so che ci ho pianto sopra tante delle mie lacrime dei vent’anni e ancora oggi mi viene voglia di ripiangerci sopra un altro po’, perché piangere fa bene, ogni tanto.
Il Quinto Elemento invece è uno di quei fim che guardi con il sorriso stampato in faccia: per l’ironia sottile che fa da sottofondo e anche perché è una festa per gli occhi, con quelle scenografie, quei costumi, quei colori e c’è pure una Milla Jovovich bella ma così bella che davvero toglie il fiato e che incarna quello che mi sembra sia l’archetipo della femminilità per Besson: delicata, fragile ma guerriera. Addirittura salvifica.
Salvifica è in The Lady pure Aung San Suu Kyi, che non risolleverà le sorti dell’umanità come Milla-Leeloo, ma quelle della sua Birmania forse sì.
La vicenda di Aung San Suu Kyi è nota. Figlia di un eroe della lotta per la liberazione della Birmania dagli inglesi, leader dell’opposizione del suo Paese, premio Nobel per la pace nel 1991, combatte da 25 anni per la conquista della democrazia in una terra brutalizzata da una dittatura feroce. E lo fa senza mai compiere né avallare alcun atto di violenza.
The Lady però non è un film politico (l’analisi, da questo punto di vista, resta un po’ superficiale), ma la biografia di una donna che sacrifica la sua vita di moglie e madre in nome di una difficilissima missione politica.
Anzi, no. The Lady è un’incredibile storia d’amore, di tanti amori: quello di Suu per il marito, uno studioso inglese con cui ha vissuto a Londra per 15 anni, quello enorme (forse il più enorme di tutti) del marito per lei, quello di Suu per i figli e quello di Suu per il suo Paese e la sua gente martoriata.
Besson segue questa donna con delicatezza e rispetto, quasi con riverenza. Ce ne mostra la sofferenza, la paura di fronte ai fucili puntati, la solitudine, la fragilità fisica, l’incredibile determinazione e il coraggio, nonostante tutto.
Sottolinea a ogni inquadratura la sua molteplice eleganza: nel vestire, nell’addobbarsi i capelli con un fiore, nel modo sommesso di esprimere ogni emozione, dallo spaesamento al terrore, al dolore più feroce. Perché se io penso a me che guardo partire i miei figli senza sapere se li rivedrò mi viene da urlare già adesso, figurarsi se mi succedesse davvero. Suu, no. Suu, versa una lacrima silenziosa, poi si volta e va incontro al suo destino.
Ci sono in questo film le cifre tipiche di Besson: il suo grande amore per le donne, la capacità di costruire personaggi complessi e di indagarne le emozioni, lo sforzo di dare peso anche ai personaggi solo apparentemente secondari (in questo caso il marito, che nell’ombra è eroico almeno quanto sua moglie), la cura sofisticata per la scenografia. Non so però se sono declinate al meglio: resto convinta che Léon e Il Quinto Elemento siano tutto sommato film più riusciti nel loro genere. Ma di certo il risultato è un film potente, melodrammatico – e per questo efficace perché concentra l’attenzione del pubblico su questa vicenda. Considerando poi le difficoltà affrontate per realizzarlo (quasi in incognito, tra Birmania a Thailandia), mi sembra anche un film coraggioso.
20 Marzo 2012