L’11 marzo 2011 alle 14.46, ora di Tokyo, un terremoto magnitudo 8.9 della scala Richter con epicentro in mare a 70 km dalle coste della regione del Tohoku colpì per sei minuti la terra circostante provocando uno tsunami le cui onde raggiunsero i quaranta metri. Il terremoto del Tohoku è stato la scossa sismica più intensa mai accaduta in Giappone e la quarta più potente mai registrata dall’uomo. Oltre ai danni della natura, la centrale nucleare di Fukushima subì la distruzione di tre reattori nucleari. Si è parlato molto in questo anno delle quindicimila vittime accertate e delle difficoltà dei sopravvissuti costretti a evacuare la zona. Le foto della ricostruzione, che in meno di dieci mesi ha reso di nuovo vivibili i luoghi colpiti dal terremoto, hanno fatto il giro del mondo, esaltando la capacità e velocità del popolo giapponese di rialzarsi dopo la tragedia. Fra le tante storie tristi e meno note avvenute dopo lo tsunami, c’è quella degli animali domestici dei cittadini di Fukushima. Nei momenti immediatamente successivi alla scossa, gli abitanti delle zone limitrofe alla centrale furono costretti dai militari ad abbandonare in tutta fretta le proprie abitazioni e fu imposto loro di lasciare i propri animali, con la promessa che ci sarebbero state occasioni per riprenderli. Queste occasioni non sono state più concesse dalle autorità e circa mille fra cani e gatti sono rimasti nelle zone abbandonate. Seicento animali sono stati poi portati in due canili subito all’esterno della No-entry zone, un’area del raggio di venti km dove non è ancora possibile entrare se non autorizzati. Ma sono ancora quattrocento, anche se secondo gli animalisti sarebbero molti di più, gli animali lasciati senza cibo e cure nella zona di Fukushima. Una petizione è stata lanciata da questi gruppi animalisti per chiedere al governo l’invio di squadre specializzate nel recupero di animali, ma il governo e la TEPCO (l’azienda responsabile della centrale nucleare di Fukushima già non molto amata dagli abitanti della zona) non hanno dato risposta. Anzi, gli animalisti affermano che la TEPCO ha consigliato ai propri addetti di uccidere i randagi incontrati nella no-entry zone. Una crudeltà gratuita che ha portato alla disperazione i padroni degli animali, già costretti a vivere in situazioni di precarietà lontano dalla propria casa, senza nemmeno i fedeli compagni di una vita, ora anche a rischio soppressione. I canili che hanno accolto gli animali recuperati non riescono più a sostenere i costi extra portati dal sovraffollamento e possono contare solo su pochi volontari e qualche volenteroso veterinario. Due associazioni di animalisti, la Hachiko Coalition e la Last Chance for Animals, hanno organizzato dei raid illegali nella No-entry zone per recuperare gli animali sofferenti. Per una donazione a questi due gruppi e per vedere le foto degli animali in difficoltà si possono visitare le pagine Facebook:
Per firmare la petizione che chiede al governo giapponese l’invio di squadre speciali per recuperare gli animali ci si può registrare a questo indirizzo: petizione online.