La laicità è soggetta a un preoccupante discredito. In un’epoca in cui la via di Damasco sembra decisamente sovraffollata, comunque punteggiata da molti ingorghi forse bisognerebbe riflettere su che cosa oggi sia la dimensione laica. Stefano Levi della Torre ci ha provato e leggere il suo libro (Laicità, grazie a Dio, Einaudi) può dare degli spunti di riflessione certamente non scontati, comunque non banali.
E tuttavia leggere non basta, non solo perché per leggere occorre tempo, pazienza, silenzio, concentrazione.
Talvolta sono necessari dei gesti, comunque degli atti che per la loro distonia rispetto al linguaggio e al senso comune diano il senso di una diverso registro e soprattutto obblighino a prenderei n carica un problema e a farlo proprio non solo consapevolmente, ma anche assumendolo come prioritario, se non come urgente. E talvolta non è detto che a farli, quei gesti significativi, siano i non religiosi.
Ieri vicino Parigi si sono riuniti i rappresentanti ufficiali delle religioni e delle maggiori comunità religiose di Francia (cattolici, musulmani, cristiano-ortodossi, protestanti, ebrei, buddisti) per affermare il rifiuto di una strumentalizzazione politica delle religioni o delle fedi nella campagna elettorale in corso per le presidenziali, ma anche per ribadire che nessuna fede è schiacciata su una parte politica, ma anche che nessuna parte politica può permettersi di assumere la lotta a una specifica religione (leggi l’Islam) per legittimarsi politicamente.
Questo per sottolineare un fatto molto semplice: che si può discutere della laicità, si può anche esprimere un giudizio che riveda il criterio della separazione netta tra religione e Stato – come per esempio è nella cultura politica dell’attuale presidente di Francia Nicolas Sarkozy e forse anche di molti di quelli che in Italia vorrebbero una maggiore presenza della religione nella vita pubblica del Paese – ma poi si tratta di avere un senso dello Stato, e di avere chiaro che cosa è la cosa pubblica.
Ed è qui che noi in Italia, ancora navighiamo nel buio. E soprattutto per molti si tratta intenzionalmente di non voler vedere la luce. Convinti appunto che Parigi continui a valere una messa e che dunque il problema sia non solo per chi, ma soprattutto con chi cantarla, come diceva Gianni Baget Bozzo, uno che di messe se ne intendeva.