Senti solo il rumore dei tuoi passi, cammini in stradine su cui sono ordinate ai lati macerie, sassi, tegole, pezzi di mobile. “L’Aquila è morta” leggi su un muro scrostato e non puoi fare a meno di riflettere su quella scritta.
Camminare in città, tre anni dopo. Le due cose che ti colpiscono di più sono il silenzio e l’odore di polvere diffuso, simile a quello che hai in casa quando ci sono i lavori e allo stesso modo diverso. Vedi ogni finestra puntellata, gli edifici ingabbiati da pali di legno o da tubi di ferro. Intravedi pezzi di cielo attraverso finestre rotte e tetti crollati, mentre un omone in tuta mimetica ti dice che no, di lì non puoi passare.
I negozi di qualche grande catena hanno riaperto e sono deserti; quelli dei piccoli commercianti quasi tutti chiusi. Dalle vetrine intravedi cumuli di manichini o sgabelli allineati lungo la parete. Nella piazza principale, dove prima si svolgeva il mercato, c’è qualche panchina. Chi ci sta seduto sopra guarda le facciate.
Ti sembra strano sentir parlare, in uno dei pochi bar aperti, del rigore concesso al Barcellona contro il Milan. Ti sembra strana ogni cosa che rimandi alla normalità, come i cartelloni dei candidati a sindaco che sorridono sulle macerie.
I barlumi di normalità, a L’Aquila, sono la cosa più sconvolgente che si possa incontrare.