Interesse ha un’etimologia che rimanda all’essere dentro, in mezzo a qualcosa. Interessarsi significa sentirsi presi, coinvolti, stimolati. Allo stimolo si risponde con l’attenzione, ad esempio, o con la critica, anche se negativa. O con il volerne sapere di più.
Ci si interessa a qualcosa con cui è possibile un’identificazione, o in generale che si sente vicino alla propria esperienza di vita. Più raramente ci si interessa a qualcosa che non si conosce, o che non si capisce così, di primo acchito. Ed è un vero peccato, si perdono occasioni. Soprattutto, il destino di ciò che richiede un certo sforzo di comprensione e di interpretazione è spesso quello della squalifica, o del fraintendimento, a vantaggio delle cose immediatamente evidenti, lapalissiane, cristalline. Al punto da risultare scontate, in certi casi volgari nel senso di finalizzate ad una mera ed indiscriminata divulgazione. Come certi scritti (di diversa forma, lunghezza e tipologia), che catturano parlando del niente. O come i cosiddetti “cinepanettoni”.
Credo che il successo di questi prodotti di massa, così efficaci dal punto di vista delle logiche di mercato, risieda nel fare leva su qualcosa che non è dell’ordine dell’interesse, bensì del divertimento. Ancora l’etimologia ci viene in aiuto, perché divertire significa distogliere l’attenzione da questioni “pesanti” per indirizzarla su cose “leggere”. Il divertimento distrae, e in questo non c’è nulla di male, la mente ne risulta alleggerita. Non è indispensabile entrare in relazione quando ci si diverte; in fondo, un cinepanettone non muove nulla sul versante del sentimento, né interroga, o innesca un pensiero. Niente del soggetto è messo in questione.
Il divertimento diventa avvilente – e sintomatico – quando si traduce in stile di vita, condizione esistenziale, imperativo categorico. Perché dice di un’impossibilità ad incontrare la realtà (interna ed esterna alla persona) per quello che è, costantemente spinti a divergere, a guardare altrove. Si tratta di una passione per l’ignoranza, cioè per il non volerne sapere di come vanno davvero le cose, nel bene e nel male. Se esasperato, il divertimento – diciamo così – “a tutti i costi” esita in un godimento solitario (non di rado incentrato sul consumo di sostanze), che di certo non sostiene la vita.
Il concetto di interesse è invece intrinsecamente relazionale, implica il volersi ingaggiare in un confronto, il farsi raggiungere da qualcosa che mette in moto una domanda. E bisogna considerare che questo interrogativo possa non avere risposta, che ci si possa dispiacere un po’. L’amore per il sapere comporta dei rischi e tante implicazioni che molti annovererebbero tra le cose “pesanti”. Eppure il niente, di cui qualcuno è tanto appassionato, può avere alla lunga un peso insostenibile.
3 Aprile 2012