Gabrio CasatiCaro Galli della Loggia, la questione settentrionale esiste e sopravviverà al Trota

Lo scorso Sabato, Galli della Loggia muoveva sul Corriere 2 critiche essenziali alla fine lunga della seconda Repubblica, ulteriormente testimoniata dalla slavina che sta colpendo la Lega, e al blo...

Lo scorso Sabato, Galli della Loggia muoveva sul Corriere 2 critiche essenziali alla fine lunga della seconda Repubblica, ulteriormente testimoniata dalla slavina che sta colpendo la Lega, e al blocco ideologico Nordista (Lega + Forza Italia) che ne ha dominato il profilo politico.

La prima accusa riguarda l’incapacità di tale blocco di governare imitando “l’esempio della Democrazia cristiana, alla quale per un quarantennio, invece, riuscì di tenere insieme le roccaforti del cattolicesimo lombardo-veneto con il voto popolar-conservatore del Mezzogiorno”. Con tutto l’immenso rispetto per il Corriere della Sera e il suo nuovo, rutilante ruolo di cane da guardia dell’opposizione, ci sembra che tale argomentazione sia priva di senso politico e storico. L’acritica capacità della DC di “unificare” il Paese si basava sia su una potente spinta ideologica, essenzialmente non nazionale, ormai svanita (passiva: contro il PCI, attiva: per il Cristianesimo), sia sulla superiore capacità di intercettare e indirizzare i flussi di spesa pubblica in deficit. Nessun partito della prima Repubblica, al di là di schemi quasi automatici di contrapposizione duale efficienza-lassismo, burro-olio d’oliva e via minchiando, ha mai elaborato cause e soprattutto conseguenze del dualismo italiano. Perché non ne aveva bisogno. Il deficit e poi il debito pubblico, comprava l’unità fittizia della Nazione, ne stemperava le contrapposizioni, ne ridefiniva quotidianamente il senso. In questo senso, e politicamente parlando, il debito pubblico italiano ha svolto un ruolo insostituibile nella prosecuzione pacifica della vita democratica.

È l’impossibilità di riproporre questo schema (crisi finanziaria, Governo Amato, fallimento della Repubblica) che definisce la nascita politica/elettorale della Questione Settentrionale, l’esplosione della Lega, perché se da una parte l’inaridimento della capacità di indebitamento e la scomparsa dello Stato imprenditore, fa ulteriormente crollare l’economia del Sud (drammatizzando il divario), il conto della contrazione fiscale lo paga il Nord. Poi, l’economia progressivamente integrata in ambito Europeo e poi mondiale, toglie di valore il vecchio argomento dello scambio lavoro-mercato di consumo sia per il Nord (posso spostare la produzione dove voglio) sia per il Sud (se la Duna è incomparabile mi compro la Polo). Ma la Lega nasce, elettoralmente, dopo l’inizio di questo movimento di trazione che la spesa non può più disinnescare. Ignorare questa semplice constatazione ci sembra incredibile da parte di GdL.
Poi, forti dubbi si possono nutrire nell’accostamento sic et simpliciter di Lega e Forza Italia in un ipotetico blocco del Nord. Il profilo di FI è sempre stato Nazionale, così come la sua retorica, le canzonette napoletane del suo Presidente e le sue politiche. Singoli esponenti di FI (in primis Giulio Tremonti) erano certamente uomini del Nord, portatori di visioni coerentemente nordiste, ma non certo il loro Partito in quanto tale.
Ci sembra che, in piena coerenza con l’operazione Monti, il Corriere abbia una gran voglia di seppellire, insieme alle ceneri da pochi compiante della fase berlusconiana della politica italiana, tutto quello che ricordi la questione settentrionale e il federalismo.

La seconda accusa mossa da Galli della Loggia al preteso blocco del Nord è quella di aver fallito nell’esercizio del Governo, dimostrando “la sua antica, direi storica, difficoltà a fare politica, la sua incapacità a rappresentare un soggetto politico all’altezza dei suoi propositi”. Su questo non possiamo che essere d’accordo. Ma si badi bene, solo a seguito del pieno riconoscimento che in un Paese ingovernabile come questo, l’accusa di fallimento di onnipotenza è ridicola. Ma è pur vero che, in un arco temporale di 20 anni, tutte quelle promesse e tutte le analisi sula QS hanno pur condotto solo al federalismo per Roma Capitale, e basta.
Resta però nel ragionamento di GdL, e anche nel nostro per carità, ma noi lo ammettiamo, un buco gigantesco. L’articolista del Corriere scrive che qualsiasi forza che si impegni a governare l’Italia debba fare leva su “un elemento egemonico decisivo: di poggiare su un progetto politico nazionale, di essere animata da un’ispirazione forte e autentica”. Evvai, altro salto logico, anzi un doppio salto logico. Primo: il giornale della Casta invoca un progetto politico; secondo un progetto politico nazionale. Non esiste un progetto politico perché non esiste veramente più la politica (molto prima che i politici, roba di second’ordine); e non esiste un progetto politico nazionale, perché gli ideali risorgimentali (cui esplicitamente si richiamava GdL), quelli resistenziali o qualsivoglia altro filone, non bastano più a spiegare il nostro stare insieme come Paese (figuriamoci come Nazione). L’Unità d’Italia, come tutte le esperienze non più pienamente di successo, deve essere rivista nella sua pratica attuazione, oltre che nella sua astratta valenza politica. Coprire sotto logiche forzosamente unitarie il gigantesco problema distributivo territoriale, e i profondi differenziali regionali che lo creano, non solo non giova a una soluzione del problema, ma non serve nemmeno la causa nazionale. Anzi, la sta distruggendo. In base a quale principio (non astratto, ma che abbia un’attuale base rappresentativa e una sostanza politica) la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna devono farsi carico, da sole e in tali abnormi dimensioni, di tutti i numerosi famigli settentrionali e peninsulari sempre bisognosi di ulteriori finanziamenti? Perché mantenere da soli le belle vacche trentine, i gerani ai balconi bolzanini e le prebende feudali dell’Amministrazione siciliana? E per cosa in cambio? Pagare, pagare sempre e a piè di lista, a un bancario che sta a Roma e ci fa la cresta, pagare senza discutere, usi a pagar tacendo? Ed è proprio nell’incapacità del Nord di articolare in termini politicamente accettabili e nella parallela incapacità (o meglio nella non volontà) nazionale di dare avvio a una discussione collettiva che ponga al centro il problema distributivo che nasce, per esempio, la Lega e la generale inquietudine, il fastidio del Nord.

Possiamo archiviare insieme al soggetto politico, la Lega e il blocco Nordista, pure il fenomeno, la questione Settentrionale, e tornare a nanna tranquilli, per scoprire tra qualche tempo che la base dei fenomeni sociali, economici e culturali che sostengono la politica e’ ineliminabile. In Logica lo scambio della causa con il suo effetto viene chiamato “pensiero magico” e ci sembra che, nella politica degli ultimi 20 anni, ve ne siano stati anche troppi di apprendisti stregoni. Su, tornate a lavorare.

Il profondo Nord, illusione perduta di Ernesto Galli Della Loggia

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