Human HighwaysConsumatore, ma quanto mi costi!

Ogni anno l’industria pubblicitaria italiana spende 200€ per abitante per aiutare le marche a farsi ricordare dai consumatori. Nel mercato dell’attenzione il ricordo costa: senza notorietà e ricord...

Ogni anno l’industria pubblicitaria italiana spende 200€ per abitante per aiutare le marche a farsi ricordare dai consumatori. Nel mercato dell’attenzione il ricordo costa: senza notorietà e ricordo o – come dicono gli addetti ai lavori – senza Top of Mind, non c’è speranza di vendere un prodotto. E siccome anche i concorrenti comunicano, nell’affollamento mentale dei consumatori bisogna raggiungere certe soglie di notorietà e attenzione per riuscire a essere ricordati e acquistati.

E’ questo il crudele destino delle marche che operano in categorie di prodotti indistinti e rimpiazzabili, o ai quali si può rinunciare. Come riportato in un recente articolo de Linkiesta, Campari spende il 18% dei propri ricavi in campagne pubblicitarie per sostenere le vendite, altrimenti si fermerebbe la macchina dei consumi: “no Campari, no party”, parafrasando uno slogan della concorrenza.

Ma non è così per tutte le marche di tutti i settori, anzi.
Alcuni casi di successo di “brand building” non hanno fatto ricorso, se non in minima parte, alla comunicazione pubblicitaria. Hai mai visto in giro una pubblicità di Facebook? O del motore di ricerca di Google? O dell’iPod di Apple (a parte alcuni primi manifesti stilizzati e colorati intorno al 2005). La notorietà di Ryanair è stata costruita dalle campagne pubblicitarie? La fiducia in PayPal o la credibilità di Amazon? E la famigliarità dei nostri ragazzi con i personaggi di Angry Birds e di Mario?

Non si tratta solo di acquistare attenzione ma anche di guadagnarsela. Non solo di fare promesse, la formula tipica del messaggio pubblicitario, ma di mantenerle nelle caratteristiche dei prodotti e dei servizi erogati. Per guadagnare attenzione si deve fare leva sulle cose importanti per il consumatore: la qualità e l’innovazione del prodotto, la soddisfazione delle attese dell’utente, la rilevanza nell’esperienza di utilizzo. Se un prodotto ci riesce, la gente poi ne parla.
Non stupisce allora leggere i risultati di una ricerca di Nielsen condotta in 56 paesi del mondo da cui emerge che il peso dei consigli e delle opinioni degli utenti di un prodotto è la forma di comunicazione più efficace in termini di fiducia (92% contro il 47% della pubblicità in TV). Nel mondo trasformato dai social network e dall’infocommerce il peso dell’attenzione guadagnata (o del discredito accumulato) è in crescita e non sempre può essere bilanciato dalla classica comunicazione pubblicitaria che si basa sul modello dell’acquisto dell’attenzione e della promessa.

Certo, non sarà possibile per tutti: saponette e dentifrici, moda e benzine dovranno sempre far ricorso all’acquisto di attenzione per prevalere sui concorrenti. Ma in tanti altri casi sarebbe utile tornare a ragionare sul prodotto: qualità, innovazione e soddisfazione. Il lavoro duro, insomma, quello che buona parte dell’industria italiana conosce bene, lo sforzo costante e quotidiano di guadagnarsi la fiducia dei clienti. E’ una lezione che parte dalla pubblicità ma si rivolge a tutti i settori in cui la qualità è ancora importante: dalle auto ai servizi di telecomunicazione, dai trasporti alle banche. Senza dimenticare un prodotto in forte deficit di credibilità e innovazione: le idee e la prassi della politica.

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