Nella polemica che riguarda Via Rasella e che ha coinvolto a lungo Rosario Bentivegna e che del resto non poteva mancare nei giorni seguiti alla sua scomparsa ci sono tutti gli ingredienti del mito del bravo italiano: l’idea che la storia avviene sopra le nostre teste; la convinzione che noi italiani siamo un popolo che non pratica la violenza; la presunzione di innocenza per cui se non si fa qualcosa non si sbaglia.
Ciò che va in atto in questi giorni è l’autoassoluzione della zona grigia ossia la pratica dell’equidistanza come criterio discriminate per essere comunque nel giusto.
Quella di Via Rasella fu un’azione di guerra, come tutte le azioni di guerra non si misura sulla etica del guerriero individuale, ma in relazione a un sistema vigente.
Ovviamente non basta riconoscersi di essere in guerra, altrimenti ciascuno di noi sarebbe legittimato ad alzarsi la mattina, dichiarare di essere in guerra e fare un attentato o compiere una strage al primo angolo appena uscito di casa.
Cosa differenzia Mohammed Merah, il 24enne attentatore responsabile della morte di tre militari, un rabbino e tre bambini a Tolosa nelle settimane scorse, da Rosario Bentivegna?
Almeno tre cose:
1. Rosario Bentivegna colpiva quei militari nell’esercizio delle loro funzioni in una dichiarata situazione di guerra;
2. In una guerra dichiarata e in atto, e che tutti riconoscono come tale, si combatte tra parti che si dichiarano inconciliabili e la differenza sta in chi si riconosce come nemico. Proviamo a girare la questione: è accaduto tra i resistenti che qualcuno prendesse in ostaggio civili tedeschi e ne violasse il corpo fino ad ucciderli per rappresaglia perché era stato ucciso qualcuno dei propri?
3. Quell’atto non indebolì il fronte largo della Resistenza, ma segnò una frattura ancora più profonda nei confronti dell’occupante. Mi sembra difficile sostenere che questo fosse l’effetto di una campagna pubblicitaria dei resistenti, anche perché l’ordine era in mano decisamente ai loro avversari e agli occupanti.
La Resistenza aveva un appoggio diffuso e l’episodio di Via Rasella, soprattutto dopo l’attentato e prima della notizia dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, va anche letto come la dimostrazione di quell’appoggio che non venne meno. Peraltro quell’appoggio non venne meno neppure dopo la rappresaglia.
Le domande che dobbiamo farci sono essenzialmente due, ma queste nessuno le formula. e sono per la precisione:
1) Perché il consenso ai resistenti non arretrò anche dopo il 25 marzo 1944?
2) Che cosa significa che a distanza di due generazioni, ovvero di circa 60 anni, noi oggi discutiamo dell’episodio di Via Rasella e poi delle Fosse Ardeatine diversamente da allora stante il fatto che non sono sopravvenute correzioni sulla ricostruzione dello svolgimento dei fatti, ovvero che ciò che sappiamo ora e i dati su cui esprimiamo il nostro giudizio ora, sono gli stessi di 60 anni fa?
Fuori da queste due questioni ci sono solo chiacchiere.