C’è la crisi della pedofilia dietro alla richiesta di riforme ecclesiologiche avanzata nel manifesto della disobbedienza di un gruppo di preti austriaci, ai quali il papa si è indirizzato, criticamente, nella predica della messa in San Pietro di giovedì santo. Il leader dei sacerdoti ribelli, mons. Helmut Schueller, ha precisato, in realtà, che la sua Pfarrer Initiative (iniziativa dei parroci) nasce, nel 2006, prima e indipendentemente dalle rivelazioni che, nel 2010, hanno fatto emergere gli abusi sessuali compiuti sui bambini dai sacerdoti di diversi paesi negli anni passati. Ma il picco di adesioni al suo manifesto (hanno firmato 400 preti austriaci, pari a un decimo del clero austriaco), così come la nascita di gruppi analoghi a quello austriaco in altri paesi, a partire dall’Irlanda, coincide con l’acuirsi dello scandalo-pedofilia e vi si connette nel tentativo di dare ad esso una risposta strutturale. Perché in diversi paesi europei, e in particolare in quell’area germanica da cui proviene anche Joseph Ratzinger, il nodo degli abusi sessuali ha innescato una riflessione dottrinale ed ecclesiologica. L’anno scorso un gruppo che annoverava inizialmente 143 teologi tedeschi ha scritto un appello intitolato “Chiesa 2011: Una svolta necessaria”, meglio noto come Memorandum Freiheit (memorandum libertà), nel quale, partendo dall’episodio che ha scoperchiato lo scandalo in Germania – la vicenda degli abusi compiuti nei decenni precedenti nel collegio dei gesuiti Canisius, a Berlino, coraggiosamente denunciato dal rettore dell’epoca, padre Klaus Mertes – denunciavano che nella Chiesa vi sono alcune questioni ancora irrisolte dal Concilio Vaticano II, quali il rischio di una liturgia tradizionalista, la partecipazione dei fedeli laici alla vita ecclesiale, le unioni gay e il tema dei divorziati risposati. Lo stesso Mertes ha avuto a criticare persistenti “tabù, strutture della doppia morale, mutismo nel campo della pedagogia sessuale, una prolungata concezione dell’autorità, uno spirito di corpo clericale e un’ecclesiologia trionfalistica”, che “possono rendere sordi” alle denunce delle vittime di pedofilia, ed ha sostenuto che lo scandalo abusi pone “domande sulle strutture e sulla concezione di Chiesa”. Più in generale, lo scandalo della pedofilia ha scosso nel profondo la vita ecclesiale del mondo germanofono, interrogando in modo a tratti lacerante le coscienze e provocando solo nel 2010 181mila fuoriusciti dalla Chiesa cattolica del paese.
Il papa, impegnato con rigore e coraggio nel contrasto alla pedofilia, ha però un’altra idea della Chiesa. E non da oggi. Se nella messa per la benedizione dell’olio dei crismi, di giovedì santo, ha spiegato di non ritenere che la ribellione sia la giusta “via” per il “vero rinnovamento”, Benedetto XVI ha già avuto modo di spiegare, nel corso dei mesi, che gli abusi sessuali del clero non si combattono con le riforme strutturali ma con la purificazione del cuore. Vigoroso nell’autocritica (“La più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa” che ha dunque “profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia”), determinato nell’invitare la Curia romana a “accogliere questa umiliazione come un’esortazione alla verità e una chiamata al rinnovamento”, il papa ha però messo in guardia dal rischio di sconfinamenti eretici. E lo ha fatto quando, all’udienza generale dell’otto settembre 2010, ha ripercorso la vita della santa medievale Ildegarda di Bingen, che si scontrò con i catari, i “puri”, che “propugnavano una riforma radicale della Chiesa, soprattutto per combattere gli abusi del clero. Lei – sottolineò in quell’occasione Ratzinger – li rimproverò aspramente di voler sovvertire la natura stessa della Chiesa, ricordando loro che un vero rinnovamento della comunità ecclesiale non si ottiene tanto con il cambiamento delle strutture, quanto con un sincero spirito di penitenza e un cammino operoso di conversione”.