Leccaprincipi e MamelucchiFuoritema #1. La Lega stanca e la notte di Bergamo

Martedì alla Fiera di Bergamo. L'atmosfera quella di un concerto. Alle 21 si parte. Maroni intona la prima nota. Il popolo padano (di certo non al completo) risponde. Che sia stata la pioggia a fer...

Martedì alla Fiera di Bergamo. L’atmosfera quella di un concerto. Alle 21 si parte. Maroni intona la prima nota. Il popolo padano (di certo non al completo) risponde. Che sia stata la pioggia a fermarli non ci crede nessuno. «In questi giorni a Monza arriva il culattone, Vendola. Son già tutti pronti a divertirsi». Racconta un ragazzotto in carne al suo amico, mentre insieme si preparano a varcare la soglia del tempio: sotto la pioggia, che dall’inizio alla fine ha continuato a battere incessante.

Un segnale del cielo. «Pulizia» gridano i militanti con le scope brandite come spade. Il discorso di Maroni intanto fila. Liscio come l’olio. Scivola sull’acqua e non lascia segni. Soliti slogan, solito copione. Siamo diversi dai partiti, ma parliamo la stessa lingua. Di sicuro è l’ex ministro dell’Interno il vincitore della serata, se di vittoria la Lega può ancora parlare. Acclamato, coccolato dai cori. Pulizia, si grida. «E chi ha sbagliato paghi», è il mantra che risuona. Intanto i duri e puri pare inizino ad accusare il colpo. Roma ladrona è entrata all’interno come una malattia: Calderoli appare più rosso del solito, Maroni più sorridente, Bossi più stanco, come un ladro di polli beccato sul fatto. E le scuse si sprecano. In quattro parole: «Pulizia, unità, complotto, scusatemi per i figli». 

Il Capo china il capo. Il popolo risponde. Confuso, distratto. Applaude e fischia. Urla Bossi. E poco dopo risveglia Maroni. Di certo l’unità propagandata dal Senatur non si vede. In più c’è stanchezza. Dopo trent’anni quello che è stato il movimento più vivo e giovane d’Italia, oggi è il partito più vecchio e stanco della Seconda Repubblica. E il celodurismo un ricordo da esporre in bacheca. Martedì sera alla Fiera di Bergamo va in onda una soap opera: il capo malato, il cerchio magico che trama alle sue spalle, pianti e lacrime a fiumi. Piange Bossi (ormai una prassi), piange Rosi Mauro (in diretta tv). La badante ha pensato bene di chiudersi in uno studio televisivo, qui, per i padani, è lei la radice del male. «Noi non siamo Rosi Mauro», scandisce il coro.

L’altro grande assente è il Trota: da anni siede alla destra del padre, occhi persi nel vuoto e doppio mento da battaglia. La Pasqua è passata da due giorni, ma del figlio non c’è neppure l’ombra, rimasto chiuso nel sepolcro tra soldi facili e veline. Intanto la «magistratura pronta al complotto», come la definisce Bossi, continua a indagare sull’uso creativo dei finanziamenti pubblici, anche se nella notte dell’orgoglio leghista non sembra un problema. Anzi, una cosa è certa. L’era dell’Ariete Umberto è al tramonto, l’era dei Pesci (Trota) non è mai iniziata, quella della Lega pare non sia ancora finita. «Non ho mai seguito la politica, ma adesso sono felice, mi sento coinvolto, sembra di stare a un concerto», racconta un padano di nuovo corso. Piove, mi passano un panino. «Col salame va bene?». «Va più che bene».

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