Premetto che l’argomento mi sta particolarmente a cuore.
Anzi, se potessi, mi lascerei andare a un urlo liberatorio come quello di Nanni Moretti in “Palombella Rossa” quando gridava a una irritante giornalista: “Ma come parla? Le parole sono importanti”.
Faccio subito outing: amo smodatamente la lingua italiana e uso, impunemente, il congiuntivo. Ammetto inoltre di aver avuto la sfrontatezza di iscrivermi a gruppi su Facebook in difesa di entrambi.
Non è certo mia intenzione vestire qui panni della maestrina della penna rossa né esercitare un anodino snobismo, ma voglio raccontare un episodio, riportato su La Stampa da Flavia Amabile e ripreso oggi da Massimo Gramellini, che mi ha empaticamente colpita.
A Milano, un bambino di nove anni viene sistematicamente preso in giro dai suoi compagni di classe perché troppo diligente: usa a menadito il congiuntivo e conosce alla perfezione sintassi e grammatica.
Ai tempi degli scivoloni linguistici del Trota, dell’ignoranza usata come volano per diventare una star televisiva, conoscere la lingua italiana viene ritenuto un ostacolo, qualcosa di cui vergognarsi.
Sapereste farmi il nome di qualche odierna celebrità, magari reduce dall’ultima edizione del Grande Fratello, che sappia cosa sia la consecutio temporum?
Il fatto è che quei bambini che oggi deridono il proprio compagno perché eccessivamente studioso saranno, ahinoi, gli adulti di domani.
Da qualche decennioin Italia è in atto un genocidio culturale che pervade tutto il tessuto sociale, erodendolo pian piano. Pochissime restano le isole felici e chi ha l’ardire di raggiungerle si sente talvolta un povero naufrago alla deriva come Robinson Crusoe.
Ma chi ha permesso che la cultura non fosse più considerata un bene comune da difendere?
Ovviamente, la classe politica degli ultimi anni ha una grossa fetta di responsabilità avendo trasformato la scuola nel regno della burocrazia e del pressapochismo, anziché difenderla in quanto fortino inespugnabile del sapere.
Ricordo ancora con sgomento quando nel 1994 l’allora ministro dell’Istruzione Francesco Onofrio, durante un’intervista televisiva, alla giornalista che gli chiedeva un parere sull’abolizione dei licei rispose così : ”Vorrei che ne parliamo”.
Fu allora che il mio alter-ego sgrammaticato e impertinente, fece capolino e mi disse: ”Se l’avrei saputo, non avessi studiato”.
Io, ancora oggi, continuo ostinatamente a sperare che si sbagliasse.