«Senta dottò’, io glielo dico senza problemi: questo non è nulla. Noi italiani la crisi non l’abbiamo ancora vista». E così, capita che in una giornata romana di fine aprile comprendi che qualcosa in Italia forse sta cambiando. Il tassista che mi ha detto ciò lo scorso venerdì non ha torto. Anzi, ha ragione da vendere.
«Noi abbiamo vissuto per anni sul debito, indebitando anche i nostri nipoti». Il tassista fa un ragionamento che non fa una piega perché, come lui stesso ammette, tutti hanno ben più di quanto potrebbero avere. E ora, è giusto che si torni a stringere la cinghia in modo pesante. Lui parla della sua esperienza, di tutti quelli che si sono fatti scarrozzare da lui in 30 anni di carriera. Parla dell’evoluzione dei soggetti parlando dei cellulari, passati da essere oggetto di lusso a ormai superfluo, e degli abiti, sempre più ricercati. Ma non ha rabbia, i suoi occhi sono solo sconfortati. Il motivo è presto detto. «La colpa è nostra, non delle banche, non dei governi. La colpa di tutto questo è solo nostra», dice quasi con insofferenza. «Non ci siamo saputi accontentare e ora dobbiamo chiedere aiuto a tutto il mondo, perfino ai cinesi», aggiunge.
Via via, mentre si viaggia e si discute in una Roma primaverile, si arriva a parlare di politica, croce e delizia di qualsiasi italiani, almeno tanto quanto il calcio. Succede però qualcosa di imprevisto. Io mi sarei atteso un attacco sfrontato verso l’attuale governo Monti, verso la classe politica, verso una classe dirigente ormai bollita e senza futuro. Invece no. «Dottò’, anche in questo caso la colpa è nostra, che ci facciamo fregare alle urne ogni volta da promesse che non saranno mai mantenute», dice. Non solo. Lui non è nemmeno irritato da un’eventuale intervento diretto del Fondo monetario internazionale. «Ma magari – afferma con vigore – almeno così prendiamo tempo, ci facciamo commissariare e non continuiamo a vivere in questo modo agonizzante».
Il viaggio finisce e io devo entrare al Tesoro, ma il tassista ha ancora voglia di dirmi una cosa. E lì, proprio in quel momento, arriva la seconda sorpresa di quel tragitto. Prima di darmi il resto e guidare fino alla prossima corsa, si gira e dal finestrino non usa mezze parole: «Dottò’, in questi giorni si legge che la colpa sarebbe della Germania, ma se lo ricordi, la colpa è solo nostra. Non dobbiamo trovare scuse come hanno fatto i politici greci». Già.