Non è vero che tutti noi abbiamo una prospettiva di futuro migliore se ci sforziamo di immaginare che cosa saremmo domani, e che cosa saranno i nostri pronipoti. Quella consapevolezza, al contrario, nasce dal fatto di avere coscienza di chi siamo noi oggi, che cosa abbiamo passato per arrivarci e da dove partivamo.
Nella serata del prossimo venerdì, 6 aprile, della lettura dell’Haggadah che accompagnerà il rito della cena pasquale ebraica, verrà ripetuta molte volte la frase “ricordati che tu sei stato schiavo in Egitto”.
Lo scopo non è quello di rivendicare un diritto o anche di raccontare le proprie disgrazie, ma quella ripetizione serve a ricordare, che solo se si ha memoria di essere stati schiavi si ha la capacità di pensare a un futuro e anche di auspicarlo. E anche di sapere di che cosa siamo capaci.
Questo è anche il senso dello sguardo indietro dell’angelo che Walter Benjamin legge in Angelus Novus, l’acquarelli di Paul Klee
Non vale solo per gli ebrei. Forse è banale dirlo. Ma non è inutile scriverlo. Nero su bianco. A futura memoria.
2 Aprile 2012