Su Facebook mi hanno avvisato che a Bologna è stata organizzata una rappresentazione teatrale sulla Scuola di Chicago. Sono andato a leggere la presentazione della pièce, e non credevo ai miei occhi: ho dovuto impegnarmi per convincermi che qualcuno possa onestamente credere a certe cose:
“Chicago Boys è un’esaltazione surreale del capitalismo, del consumismo e della liberalizzazione più sfrenata. Tra le anguste pareti di un rifugio antiatomico si consuma una lotta senza esclusione di colpi tra un uomo immerso in una vasca che mangia e si disseta e una prostituta/cameriera russa che cerca il riscatto. I Chicago Boys sono stati un gruppo di economisti formatosi negli anni 70 all’Università di Chicago sotto l’egida del grande guru del liberismo Milton Friedman. La loro profonda influenza sulle politiche economiche di molti stati, – gli Stati Uniti di Reagan, l’Inghilterra della Thatcher e poi Cile, Argentina, Brasile, Polonia, Cina, Russia – innescò un processo che ha portato allo smantellamento dello stato sociale.”
Non è una questione di errori di fatto su dettagli economici, come che la Scuola di Chicago nasce negli anni ’70 (Frank Knight, Irving Fisher, anyone?). Pinzillacchere. É stata questa raccapricciante assurdità a farmi riflettere:
“La loro profonda influenza … innescò un processo che ha portato allo smantellamento dello stato sociale.”
Viviamo in un paese dove la spesa pubblica ha superato ampiamente il 50% del PIL, e in un continente dove ha superato il 45%. Non è mai diminuita, è sempre cresciuta, e per il suo finanziamento è stato necessario creare debiti pubblici mostruosi, e imporre livelli di pressione fiscali elevatissimi, che superano in tutto il continente il 45% e sfiorano il 50% in Italia.
In quale mondo parallelo, in quale comunicato stampa della Pravda, sotto l’effetto di quale sostanza psicotropa, lo stato sociale è stato smantellato? La pianteremo una volta per tutte di sparare raffiche di scemenze ad alzo zero?
I luoghi comuni infondati, soprattutto quando sono politicamente utili per far sopravvivere una qualche narrativa ideologica priva di fondamento, sono estremamente diffusi, e qui ne vediamo un esempio clamoroso. Ma a cosa servono?
Non certo a migliorare la nostra comprensione del mondo, dato che si tratta di palesi fesserie. Servono a creare, appunto, un mondo parallelo dove i seguaci di una certa ideologia si possano riconoscere e possano ‘fare squadra’ nella lotta politica. Come il Dio Po del ‘popolo padano’, la mitologia è parte integrante dell’identità.
L’Italia ha notoriamente un forte deficit di competenze scientifiche. Meno nota è l’altrettanto grave mancanza di competenze economiche: il dibattito pubblico è di qualità scadente perché non si può distinguere un buon argomento da uno cattivo, quando nessuno sa di cosa si sta parlando.
Io, non essendomi mai occupato di teatro, ho il buonsenso di non parlare di rappresentazioni teatrali. Chi si occupa di teatro, prima di occuparsi di economia o politica, dovrebbe prima impegnarsi a cercare di capire ciò di cui vuole parlare.
Chiaramente, però, se lo scopo è puramente ideologico, non serve capire. Anzi, può essere pericoloso.
Harry Frankfurt ha scritto un libro su cosa accade quando non ci si cura della fondatezza o l’infondatezza di ciò che si dice, perché ciò che conta è soltanto l’utilità ideologica:
“A causa di un eccessivo indulgere a quest’ultima attività, che implica il fare asserzioni senza prestare attenzione ad alcunché, tranne che a ciò che fa comodo al proprio discorso, la normale abitudine di badare a come stanno le cose può attenuarsi o perdersi”
Non a caso il libro si chiamava ‘Bullshit‘, in italiano, ‘Stronzate: un saggio filosofico‘.
Pietro Monsurrò