La luna di miele è finita. Quello fra Mario Monti e gli investitori doveva essere un matrimonio tranquillo, senza scossoni. Purtroppo però qualcosa si è rotto. Se sia una spaccatura definitiva o no, è ancora tutto da capire. Dipende solo da lui, dall’ex commissario europeo chiamato a salvare l’Italia nel momento di maggiore difficoltà. Dipende dalla capacità negoziale che avrà nelle prossime settimane. Delle due l’una: o le riforme le fa questo esecutivo o le fa il Fondo monetario internazionale.
Il matrimonio fra Monti e i mercati era nato con le migliori premesse possibili. Arrivato a capo del governo italiano dopo un clima di completa sfiducia nei confronti di Roma, Monti aveva un’agenda ben definita. Risanamento dei conti pubblici, spending review, riforma delle pensioni, riforma del lavoro, liberalizzazioni, valorizzazione del patrimonio statale, ritorno alla crescita: erano questi i punti principali di un piano suggerito da Banca centrale europea (Bce) e Commissione Ue. L’obiettivo era evitare lo scenario più nefasto per l’Italia, cioè la perdita dell’accesso ai mercati obbligazionari. Di tutto ciò, solo una cosa è stata completata, ovvero la revisione del sistema pensionistico. Tutto il resto è ancora in alto mare. Un possibile driver positivo doveva e poteva essere la riforma del lavoro, finita invece imprigionata fra i singoli interessi particolari.
Dopo quattro mesi, tutto sembra tornare a novembre. Il fantomatico spread, cioè il differenziale di rendimento fra i bond italiani e quelli tedeschi, torna a superare quota 400 punti base. I tassi d’interesse dei BTP decennali tornano oltre il 5,6% e, cosa più preoccupante, risalgono anche quelli a due e tre anni, in teoria coperti dalle Long-term refinancing operation (Ltro) della Bce. che hanno fornito circa 1.000 miliardi di euro. Domani il Tesoro andrà in asta coi BOT a 12 mesi, offerti per 8 miliardi di euro, e con quelli a tre mesi, 3 miliardi. Sarà il primo banco di prova per comprendere, una volta per tutte, il mood degli investitori nei confronti dell’Italia.
Il problema più grande di questo scenario gattopardesco è che non sembrano esserci soluzioni. I primi passi sono stati fatti da diverse settimane, quando anche gli ultimi Money markets fund hanno deciso di ritirare la liquidità da Italia e Spagna. Tuttavia, il segnale più chiaro è stato dato oggi. O riforme o niente più fiducia. Se il governo Monti non sarà in grado nelle prossime 6/7 settimane di mettere in campo un assetto in grado di far tornare le fiducia negli investitori, questi continueranno a fare quanto di più razionale per i loro investimenti. Del resto, se preferiscono avere dei tassi negativi nelle aste di titoli di Stato tedeschi, un motivo ci sarà.
Qualcuno parlerà di speculazione internazionale, altri di complotto pluto-giudaico-massonico. In realtà, il complottismo non c’azzecca nulla con quanto l’Italia sta vivendo. E francamente non si capisce nemmeno perché Monti debba dire, nel suo roadshow asiatico, che «la crisi dell’eurozona è finita». Il gap fra centro e periferia dell’eurozona è sempre più elevato e non bastano 1.000 miliardi di euro per le banche, un paio di acronimi in più, una manciata di summit per discutere di quanto sia lunga la strada per uscire da questa crisi. Occorrono risposte. Proprio quelle che l’Italia non sta dando.
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