Un popolo che conta dieci milioni di anime non può dirsi minoranza. Se però vive in una Cina abitata da quel miliardo e tre di popolazione totale, la sua voce diventa talmente bassa che neanche si sente. Gli uiguri, il popolo in questione, sono da sempre una spina nel fianco di Pechino. Musulmani, con una lingua differente e uno sguardo in costante attenzione verso i Paesi amici, in quel vasto mondo che un tempo si chiamava Turkestan. Gli uiguri la Cina li ha sempre combattuti. Adducendo sentimenti indipendentisti, con derive terroristiche di stampo jihadista. Nessuno le ha mai detto niente. Gli uiguri non godono dei privilegi mediatici del Tibet. Questo perché non si può dare sempre addosso alla Cina. Ma anche, anzi, soprattutto perché basta giustificare una pulizia etnica con la presenza di amici di al-Qaeda nel territorio che nessuno dice niente.
La polizia cinese ha appena pubblicato una lista di sei terroristi musulmani i cui capitali e beni sono stati congelati e posti sotto sequestro. Secondo il Ministero della Pubblica Sicurezza di Pechino, i sei sarebbero tutti membri chiave del gruppo terroristico “Movimento islamico del Turkestan orientale” e avrebbero organizzato, pianificato e realizzato atti terroristici contro obiettivi cinesi dentro e fuori le frontiere nazionali. Il gruppo rappresenterebbe per la Cina la più diretta e concreta minaccia alla sicurezza interna ed è perciò auspicabile che i governi stranieri collaborino con le autorità di Pechino per catturare i sei e consegnarli alla giustizia.
Il problema uiguro è annoso. Ma negli ultimi due anni pare che sia diventato ancora più scottante. L’estate scorsa, gli scontri nella città di Kashgar hanno provocato decine di vittime. Il problema è dato sì dalle mire di autodeterminazione di questa minoranza, sì dallo stato di polizia che Pechino ha imposto a tutta la parte della provincia nord-occidentale del Xinjiang. Ma anche dalla presenza di immigrati cinesi, costretti a coabitare con l’etnia locale per volontà governativa. Soluzione furbesca, questa. Pechino riversa nello Xinjiang milioni di cinesi propriamente detti, così la minoranza diventa sempre più minoranza e il territorio perde quell’identità che permetterebbe agli uiguri di rivendicarlo come proprio Stato nazionale. È un conflitto etnico a tutti gli effetti. Dimenticato, ovviamente. Ma anche con una punta terminale di strategia geopolitica. È lo Xinjiang uiguro che confina con Afghanistan e Pakistan e che quindi permette a Pechino di essere tanto influente in Asia centro-meridionale.
6 Aprile 2012