Lezioni di TangoQuando dagli USA se ne andrà l’ultimo dei messicani

Visto che questo blog si ripropone di darvi conto di quei rapidi cambi di guida nella grande tango politico-economico globale - in cui sempre più spesso è all'America Latina che tocca dirigere, inv...

Visto che questo blog si ripropone di darvi conto di quei rapidi cambi di guida nella grande tango politico-economico globale – in cui sempre più spesso è all’America Latina che tocca dirigere, invece che farsi condurre – non potevo non accennare al carinissimo corteggiamento americano de… l’ultimo dei messicani.

Leggendo il giornale stamattina, mi è caduto l’occhio su una notizia che mi ha ricordato una puntata di South Park dal titolo The Last of the Meheecans.

In essa, Cartman si unisce ai border patrols statunitensi per impedire ai migranti con baffi, carnagione olivastra e sombrero di attraversare il confine, questa volta in direzione contraria… in direzione Messico. Fra di essi, Butters, che si trova suo malgrado ad essere il leader del riscatto migratorio nazional-popolare.

Per la prima volta dalla Grande Depressione, infatti, e dopo quattro decadi di crescita esplosiva, l’ondata migratoria che ha portato nei gloriosi Stati Uniti d’America almeno 12 milioni di messicani (dal 1970) è arrivata ad un punto morto. Tra il 2005 e il 2010, si era già ridotta della metà. ‘Oggi’, per la prima volta, la quantità di messicani che hanno fatto le valigie e sono tornati a casa è stata la stessa di quelli che si sono accalcati alla frontiera in direzione opposta. (dati diffusi dal Pew Hispanic Center)

Troppo facile giungere a conclusioni affrettate. Il Messico non è diventato Eldorado e gli Stati Uniti non sono diventati il Messico. Fra le possibili cause di questo fenomeno, è qui bene ricordare:

– un aumento delle deportazioni (circa 400.000 persone nel solo 2010 di Obama, un record storico per colui che, fra le altre cose, doveva far chiudere Guantanamo);

– un aumento “maroniano” degli investimenti per la sicurezza alla frontiera, che ha reso più difficile la traversata nel deserto ai disperati che fuggono dal sangue di Tijuana. Il muro, di sicuro, argina la violenza: El Paso, in Texas, ha il tasso di criminalità minore del paese nonostante sia praticamente attaccata a Ciudad Juárez;

– in compenso, l’aumento della sicurezza al confine non ha lasciato altro scampo agli (ormai pochi) messicani in fuga che cercare di passare per la ‘zona pericolosa’, affidandosi ai cosiddetti coyotes: il traffico di persone è quindi diventato uno dei business più lucrativi alla frontiera, che uccide, tortura, sequestra o violenta almeno 20.000 persone l’anno;

– una caduta del tasso di natalità nel paese latinoamericano;

– un crescente sentimento di insofferenza nei confronti degli immigrati in vari stati americani, che col tempo hanno copiato, e spesso ampliato, le misure contro gli irregolari già proposte in Arizona nel 2010 (anch’esse, “maronianamente”, a rischio incostituzionalità).

Romney e Obama, mentre leggete, hanno già iniziato le danze di corteggiamento per sedurre il voto latino, cruciale in stati come Florida, Nevada, Colorado, California e New Mexico.

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