(In)ClementiRiforme? Un primo commento al ddl di riforma costituzionale della maggioranza ABC*

Il dato è tratto. E mercoledì scorso è stato presentato, come testo unificato dell’intera maggioranza che sostiene il Governo Monti, un disegno di legge di riforma costituzionale. Due sono le ragio...

Il dato è tratto. E mercoledì scorso è stato presentato, come testo unificato dell’intera maggioranza che sostiene il Governo Monti, un disegno di legge di riforma costituzionale.
Due sono le ragioni di metodo che rendono tale atto giuridico un fatto politico importante: perché questo testo esprime la volontà della politica, quella che ha la forza di decidere, cioè appunto la maggioranza che sostiene il governo Monti, di battere finalmente un colpo vero di fronte al crescente bisogno di cambiamento che pareva, invece, esser costretto a trovare rifugio più nell’antipolitica che nella politica; e poi perché questo testo, al di là delle singole tecnicalità, pare esprimere una visione unitaria ed organica, non dettata cioè esclusivamente dall’urgenza del decidere (che pure è ben presente di fronte alla scadenza naturale della legislatura nel 2013 e al necessario rispetto, per riformare la Costituzione, della procedura a doppia lettura, intervallata da tre mesi, prevista dall’art. 138).
Queste due semplici ragioni di metodo rendono tale disegno di legge, per sua natura dunque, già da apprezzare.
Nel merito, la proposta di riforma, redatta in dieci articoli, si può dire sinteticamente che operi su tre piani: propone una rappresentanza parlamentare meno folta nel numero e più giovane d’età; supera il nostro bicameralismo piucchepperfetto, rendendo la partecipazione del Senato all’attività legislativa prevalentemente in ragione di materie concorrenti (si tratta sostanzialmente delle materie previste al terzo comma dell’art. 117 Cost.); infine, razionalizza il governo in Parlamento secondo i tre pilastri dello schema della Costituzione tedesca (ossia, un rapporto fiduciario, anziché con l’intero Governo, in capo al solo Presidente del Consiglio che nomina e revoca pure i singoli Ministri; la sfiducia costruttiva a maggioranza assoluta dei membri; la costituzionalizzazione della questione di fiducia che, ove respinta, consente al Presidente del Consiglio, in alternativa alle sue possibili dimissioni, di chiedere e ottenere elezioni anticipate qualora il Parlamento non sia in grado di esprimere in tempi ragionevoli un nuovo Presidente del Consiglio).
Insomma, appare chiara la volontà politica della maggioranza di precostituire le condizioni costituzionali per un nuovo patto politico-sociale da suggellare definitivamente con il secondo colpo che da tempo si attende che la politica batta: cioè la riforma della legge elettorale, naturale pendant di questa proposta di riforma costituzionale.
Espressione quindi di una volontà di dare una nuova legittimazione sociale della politica, a prima vista questo testo presenta alcuni punti su cui si invita il legislatore tuttavia a riflettere con attenzione.
Riguardo alla riduzione del numero dei membri delle Camere, non sembrerebbe insensato pensare di concentrare gli eletti all’estero in una sola camera piuttosto che, come invece fa il progetto, di farne eleggere 4 al Senato e 8 alla Camera. Numeri così esigui porrebbero, specialmente per il Senato, di sicuro qualche problema.
Riguardo alla differenziazione del bicameralismo, la scelta dello schema della “prevalenza” potrebbe aprire potenziali spazi di contenzioso politico-parlamentare (basati sul “a chi spetta cosa?”). In tal senso sarebbe opportuna una maggiore attenzione nel qualificare meglio le singole attribuzioni riguardo alle materie.
Riguardo, infine, alla formazione del governo, bisogna mantenere uno schema di coerenza: se si vuole rafforzare il Governo nel suo Presidente, bisogna favorire quello che accade in tutte le migliori forme di governo liberal-democratiche, ossia che il candidato Presidente innanzitutto ottiene la fiducia dalla Camera, e poi forma il governo, proprio perché è di sua responsabilità. Non, invece, l’opposto, così come si evince dalla lettura dell’art. 9 del disegno di legge.
Sia come sia, non basterà la sola coerenza interna tra le stesse norme costituzionali a rendere la nostra una democrazia decidente. Servirà che queste siano allineate con norme ad effetti maggioritari della legge elettorale che verrà.

Solo in questo doppio allineamento vi sarà la possibilità di un positivo cambiamento.

Twitter@ClementiF

*articolo uscito sul quotidiano Il Sole24Ore del 22 aprile 2012

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