“All’improvviso vidi tutta la faccenda dal punto di vista del pesce” (cfr. Bazzana, Mirabilmente singolare, p. 52). È il bambino Glenn Gould, a pesca, che d’un tratto cambia posizione e si identifica con l’angoscia del pesce catturato. Occorre liberarlo, ributtarlo subito in acqua. O inventargli una bolla, per proteggerlo dagli agenti atmosferici, dai germi, dal tocco e dallo sguardo dell’essere umano, che sempre gli arreca dolore.
La musica di Bach, le Variazioni Goldberg, soprattutto, sono un confortevole guscio strutturato secondo la regola contrappuntistica, in cui il suono è solo un effetto emergente, mollemente adagiato sull’ala di un turbine intelligente, come gli amanti di Baudelaire. Un diciannovenne Glenn Gould si ritira in una splendid isolation, in una splendida solitudine, per perfezionare quello stile che fa di lui un interprete unico, straordinario, e da me amatissimo, di Bach.
Il suo rapporto con il pianoforte è fisico, lo si vede suonare tutto ripiegato sui tasti, in un abbraccio immenso che trova un punto cruciale di ancoraggio nella fissità di certi oggetti. La sua sedia ad esempio: il padre l’ha costruita per lui, e non se ne separa mai, non è pensabile esibirsi senza, nemmeno quando è ormai distrutta; la fa riparare e la porta sempre con sé. I suoi maglioni: molti, uno sopra l’altro, a casaccio, anche in piena estate; la mamma gli ha insegnato che se si esce ci si può ammalare, lui l’ha presa alla lettera. E così se ne va in giro con una valigia piena di farmaci, ne assume in quantità industriale, in un fai-da-te che, ancora giovane, lo ucciderà.
La gente lo disturba, teme che i fan possano rovinargli le mani, stritolargliele. Il contatto con il corpo dell’altro gli fa orrore, lo terrorizza. Nel dicembre 1959, a 27 anni, si scatenano i sintomi psicotici, con un delirio paranoide fatto di voci e di altri che lo spiano, che gli mandano strani messaggi. Qualche mese dopo un famoso tecnico della Steinway & Sons, William Hupfer, ha la malaugurata idea di dargli una pacca sulla spalla. Non sa che un pesce non si può toccare, lo si danneggia. E infatti per Glenn Gould il contatto con la mano nuda di Hupfer è traumatico, al punto che si convince di avere subito una gravissima lesione alla spalla sinistra. Chiede alla Steinway un risarcimento di migliaia di dollari e comincia a sottoporsi alle più disparate torture mediche, tra cui un’ingessatura che lo immobilizza, impedendogli di suonare per mesi.
Il mondo degli altri non fa per lui. Del resto non suona per il pubblico, la cui presenza è per lui piuttosto disturbante. Si protegge ammantandosi del proprio canto, che accompagna sempre la sua musica, preserva la sua concentrazione. E quando qualcuno gli chiede di darci un taglio, perché la voce si sente più del pianoforte, lui contempla persino la possibilità di mettersi una maschera antigas. Non può rinunciare a quel suo canticchiare, la mamma – cantante lirica e sua prima maestra (anche se lui si definirà sempre un autodidatta) – lo aveva cullato con la sua voce, di cui il figlio fa una coperta.
A disagio nei teatri, Glenn Gould si ritira dalla scena nel 1964, a 32 anni, prediligendo il comfort dello studio di registrazione, che lo avvolge come un utero. Ha amici con cui parla per ore al telefono (con bollette stratosferiche), e che magari chiama alle tre del mattino perché indovinino che cosa sta suonando. L’incontro con l’altro deve essere mediato, mai diretto; lo sguardo è angosciante. Lui, in ogni caso, non si annoia, è un chiacchierone. Come quando “Glenn Gould parla di Glenn Gould con Glenn Gould”, o “Glenn Gould parla di Beethoven con Glenn Gould” (ne L’ala del turbine intelligente).
Gli anni settanta sono difficili. Nel 1975 perde la madre, la donna più importante della sua vita, stroncata da un ictus. Come quello che sette anni dopo ammazzerà lui. Due giorni prima aveva compiuto cinquant’anni. Ma chi lo sa, magari gli andava bene così. In fondo aveva deciso che a quell’età avrebbe finito con le registrazioni. Il suo ultimo disco, una nuova esecuzione delle Variazioni Goldberg, viene presentato il giorno del suo funerale. E non si smetterà mai di parlare di lui.
Per innamorarsi di Glenn Gould:
Bazzana, K. (2004). Mirabilmente singolare – racconto della vita di Glenn Gould. Roma: Edizioni e/o.
Egge, M. (2008). Glenn Gould. Un dialogo senza parole. In C. Mangiarotti, C. Menghi, & M. Egge. Invenzioni nella psicosi. Unica Zürn, Vaslav Nijinsky, Glenn Gould (pp. 257-310). Macerata: Quodlibet.
Gould, G. (1988). L’ala del turbine intelligente. Scritti sulla musica. Milano: Adelphi.