Ci siamo, la rivoluzione è arrivata. Era dalla metà degli anni ’90 che si parlava della Rete al futuro, dei cambiamenti che avrebbe portato, delle trasformazioni che avrebbe imposto alla società, dell’impulso che avrebbe dato all’economia. Oggi parlando della Rete possiamo cambiare registro e passare a declinare tutti i verbi al presente.
La Rete ha cambiato la nostra società e la nostra economia e continua a farlo a una notevole velocità. Il commercio via Internet cresce nell’ultimo anno di quasi il 20%, gli utenti attivi ogni settimana sono aumentati in un anno del 10%, i nuovi device mobili conoscono una crescita impetuosa (dal +60% degli smartphone al +164% dei Tablet), gli utenti del mobile Internet sono cresciuti del 37% nel 2011 e stanno superando la soglia dei 10 milioni di individui.
L’onda digitale ha investito il business della pubblicità: il motore pubblicitario quest’anno perderà il 10% in quasi tutti i settori tradizionali ma crescerà del 10% nell’online. L’attenzione si sposta sulla Rete e così fanno gli investimenti della comunicazione.
Fa effetto vedere dei numeri del genere in un contesto macroeconomico che è spesso descritto con trend percentuali negativi ed esulta quando registra progressi di alcuni punti per mille. Fa effetto pensare come nel seno di un’economia ingessata come la nostra sia in atto un vero e proprio boom e ci sia un fermento che fa ricordare l’Italia degli anni ‘50.
D’altra parte, per ogni euro perso nei settori tradizionali non c’è ancora un euro guadagnato nell’industria digitale. Diversi studi segnalano come Internet sia responsabile di una quota variabile tra il 2 e il 3% del PIL italiano. PIL, cioè, che senza la Rete non esisterebbe. Le attività economiche della Rete cresceranno quest’anno di un 15% complessivo e creeranno, quindi, tre o quattro punti per mille di PIL: 6 o 7 nuovi miliardi di euro generati da Internet che fluiscono nelle stanche maglie del tessuto economico del paese. Nel frattempo, però, di miliardi di PIL quest’anno ne perderemo complessivamente una trentina.
Si potrebbe obiettare che è proprio la Rete a contribuire alla contrazione del PIL: il commercio elettronico livella i prezzi verso il basso, l’editoria online distrugge la carta, l’industria della musica è finita, la pubblicità in TV perde centinaia di milioni quando quella online ne crea solo qualche decina. Senza considerare i posti di lavoro persi grazie all’aumento di efficienza dei processi digitali e alla disintermediazione di molte attività commerciali.
Quindi, non solo spread e debito, spesa pubblica e bassa produttività: nell’elenco dei fattori responsabili dell’attuale crisi economica non dovemmo forse includere anche la Rete?
Può darsi. Senza dubbio l’economia digitale finora si è presentata più nei suoi tratti disruptive che nelle capacità di aumentare in modo generalizzato la ricchezza di tutti, a parte quella informativa e relazionale.
Lo sviluppo dell’Internet economy appare positivo nel perimetro che gli è proprio ma è ancora troppo limitato per diventare volano dell’economia. Ma se non si vuole cedere a una nuova forma di luddismo contro la novità del digitale, è necessario guardare oltre questa fase e considerare l’innovazione di Internet anche dal punto di vista sociale e culturale.
E’ la “qualità del nuovo PIL digitale” che fa pensare che la Rete possa rappresentare una risorsa notevole per il paese: è PIL giovane, prodotto da individui di età inferiore alla media, PIL sano, nel senso che nasce e si sviluppa in un contesto di vera competizione, dove tutto è a un click di distanza e non esistono rendite di posizione (per altro, il termine posizione associato al concetto di cloud tipico di Internet genera un ossimoro eloquente), PIL orientato al futuro, capace cioè di quella distruzione creativa che può generare opportunità inattese e impossibili nello sviluppo lineare dell’esistente.
Lavorare in Rete richiede doti di praticità e creatività che noi italiani abbiamo in abbondanza, aiuta ad avvicinare il mondo a chi esporta, stimola ogni professionalità a una formazione continua, fa nascere con facilità una miriade di micro-imprese che possono operare in un mercato dove la barriera di ingresso è generalmente molto bassa.
Inoltre, grazie a Internet tornano attuali alcuni valori e alcune icone che la mia generazione aveva un po’ trascurato: l’imprenditore capace, il merito personale, il sogno di cambiare il mondo, la partecipazione sociale, la ricerca di nuove regole e di nuovi modelli di sviluppo, la creazione di nuovi spazi di business, la cooperazione in rete, la fiducia nel futuro.
Quindici anni dopo l’ingresso di Internet nella società possiamo individuare le parole che compongono la tag cloud del fenomeno digitale: competitività, merito, giovani, creatività, flessibilità, export, formazione, ricerca, fiducia nel futuro.
Quando le leggi ti sembra di averle già ascoltate. Sono le stesse parole con cui ci si presenta oggi la strada della crescita.
Non è un caso che le parole tipiche del digitale siano le stesse parole che delineano un percorso possibile di sviluppo e di speranza per l’Italia: dovremo iniziare a pensare che ciò che fa bene all’industria digitale fa bene all’Italia intera.