MultitaliansCocktail di storia

SHINDAND – È quasi mezzogiorno. La pista dell’aeroporto già frigge per il sole. L’aria è satura di polvere. Laggiù in fondo alla linea di volo, di fronte a un hangar sgangherato si vedono due MI-17...

SHINDAND – È quasi mezzogiorno. La pista dell’aeroporto già frigge per il sole. L’aria è satura di polvere. Laggiù in fondo alla linea di volo, di fronte a un hangar sgangherato si vedono due MI-17: elicotteri di fattura sovietica. Due pezzi da museo. Però non sembrano abbandonati. Panciuti e pittati di livrea mimetica da deserto, sono pronti al decollo. Fanno parte della nascente aeronautica afgana. La Nato, con il progetto Asaat (Afghan support air advisoring team) si è ripromessa di addestrate i futuri piloti che a breve prenderanno gli ordini direttamente da Kabul. Il lavoro di addestramento andrà oltre il 2014, data che la politica ha scelto per chiudere il capitolo Isaf. «Resteremo qui almeno fino al 2016», dice il colonnello Casali, dell’aeronautica italiana, comandante del polo per il traning di Shindad. Asaat è di piena responsabilità italiana.
In realtà c’è del surreale in tutto questo. Per chiarezza: MI-17 sono una versione precedente dell’elicottero di Rambo. Un cimelio della cinematografia anni Ottanta, un reperto di archeologia militare, che risale alla guerra fredda. Qui in Afghanistan, i russi ne hanno persi tanti e quelli non abbattuti oggi vengono recuperati. Da queste parti non si butta via nulla. Il paradosso è come vengano poi riciclati. All’interno dell’abitacolo, il caldo è tollerabile solo perché si è tenuti in piedi dalla sopresa di trovarsi in un mostro della tecnologia sovietica. È straordinario! Tutto funziona alla perfezione. O quasi.
Un elicottero russo, la stella rossa sulla carlinga è stata cancellata, ma la si intravede ancora. Un pilota afgano, probabilmente un ex mujahed che di questi uccellacci del cielo, con il suo Rpg personale, ne abbattuti tanti. Due istruttori di volo della Nato. «Per noi è come fare un salto indietro nel tempo», dice Balla Tibor, maggiore e ingegnere dell’aeronautica ungherese. Anche lui un recuperato del Patto di Varsavia. Uno che nella Nato vi è entrato da poco. Il collega è italiano. Uniformi, lingue e passato si mischiano in un cocktail militare e umano. L’Alleanza atlantica spera che le stellette permettano di superare ostacoli e pregiudizi. La scena è per gli addetti ai lavori. È il contrato fra storia e presente quello che sorprende. L’Afghanistan va verso la transizione. Almeno così dicono.

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