Il Sole 24 Ore sbatte in prima pagina JP-Morgan per aver perso 2 miliardi in derivati, mentre al Ministero dell’Economia, che ne perse più di 3, dedicò un articolo tranquillizzante in una pagina interna. Il giornalismo economico ha un problema.
Quando ho letto la notizia, sotto il titolo “Ritorna la paura dei derivati”, mi sono venuti in mente paragoni paradossali. E’ come se un giornale sportivo titolasse “ritorna la paura della velocità” perché un pilota della Ferrari ha rotto il motore. O un’intervista squisita che ricordo di Francesco Moser. Alla domanda: “ma cosa diceva mamma Moser ai figli che partivano per il Giro d’Italia?”, rispose: “ci diceva una cosa che per un corridore è strana. Ci diceva: andate piano…” Ma mamma Moser non scriveva per la Gazzetta dello Sport, aveva già contribuito egregiamente allo sport italiano con i suoi figli. E allora dove sta la notizia nel fatto che una delle più grandi banche di investimento ha perso dei soldi su strategie basate su una previsione economica sbagliata? E si trattava pure di una previsione ottimistica, basata sulla “crescita”. Cosa c’è che non va? Lo strategist si è fregato i soldi? No. O forse scommettendo sulla crescita ha portato sfiga? Siamo seri.
E’ vero che c’è la storia di Lehman che ancora fa paura, il problema delle istituzioni too-big-to-fail (o SIFI, Systemically Important Financial Institutions) e quello dell’azzardo morale. Ma JP Morgan ha fatto un utile di 20 miliardi di dollari, è una delle banche che ha diffuso le pratiche di misurazione del rischio nel mondo, era proprio il caso di farne il cattivo esempio? Sarei intellettualmente disonesto se dicessi che la vicenda non è stata un’operazione di speculazione. Da quel che sappiamo, la perdita è derivata da vendita di protezione su CDX, che sono portafogli di CDS, polizze di assicurazione sulle aziende più rappresentative del mercato americano. Senza entrare nei dettagli, i CDX rappresentano per il credito l’equivalente dei mercati futures per valute e commodities. Se la “balena di Londra”, lo speculatore di JP Morgan, avesse avuto ragione, la riduzione degli spread sul mercato dei CDX avrebbe anticipato la riduzione degli spread per i prestiti alle aziende. Sarebbe stato poi così deleterio? Invece ha avuto torto, il mercato ha bocciato le sue previsioni e ha perso due miliardi di dollari. Il suo nome è sui giornali di tutto il mondo, nella hall of fame dei grandi rogue trader, e ora aspetta la sanzione della sua azienda.
Dove sta quindi l’allarme da trarre dalla notizia? Nel fatto che le banche di investimento speculano? Nel fatto che competono tra di loro? Beh, è vero: le grandi banche di investimento speculano e competono tra loro. Prendono posizione sui mercati sulla base delle loro informazioni e delle loro previsioni, e se hanno ragione trasmettono quelle previsioni al mercato, mentre se hanno torto perdono soldi. Ed è il fatto che scommettono soldi che attrae l’attenzione degli operatori del mercato, e non solo del mercato finanziario. Quello che si dimentica sempre è che i mercati sono luoghi in cui si scambiano soprattutto informazioni. Se le informazioni sono positive diffondono l’ottimismo al resto dell’economia, anche quella reale. Se le informazioni sono negative, sono la spia che c’è qualcosa che non va, e che nel futuro ci porterà delle grane. Chiudere un mercato significa impedire agli operatori di votare (con i soldi) sulle prospettive di questo o quel settore dell’economia. Chiudere un mercato significa accrescere l’incertezza, e intendiamo qui incertezza come “carenza di informazione”, nel senso usato da Knight ai tempi di Keynes.
Grande allarme quindi per il 2 miliardi persi da JP Morgan. Nome e soprannome (Balena) del responsabile, e le solite conclusioni sull’economia di carta (e nessuno che parli di mercato dell’informazione). Un allarme che mi coglie di sorpresa. E, quasi per contrappasso, mi ricordo di un’altra notizia che mi colse di sorpresa in senso opposto: una notizia riportata in modo rassicurante, in una pagina interna, sul fatto che il Ministero dell’Economia aveva pagato 2 miliardi e mezzo di euro (più di 3 miliardi di dollari, per un confronto con il dramma JP Morgan) per la chiusura di un derivato con Morgan Stanley. Su chi avesse fatto quel derivato non sappiamo nulla, né nome, né soprannome, e non conosciamo neppure il derivato. Il soprannome lo possiamo mettere noi: lo chiameremo “il fantasma del Ministero”, ma il resto è ancora tutto da scoprire.
Sembra quindi che il giornalismo economico, o almeno una parte di esso, abbia un problema. La cosa mi fa venire in mente l’idea di proporre ai miei presidi una proposta didattica (una “scuola di alta formazione”?) in giornalismo finanziario. Ovviamente, io non sono un giornalista, e potrei solo ad esempio spiegare cosa sono i CDX. E in cambio di questo, potrei magari, col tempo, imparare invece dai giornalisti come si fa un‘inchiesta e fare lo scoop che sogno: un’intervista con il “fantasma del Ministero” fatta di spalle, e con la voce da “mio tessoro”…