Mi rivedo in ospedale, cinque anni or sono, una puerpera al bivio avvolta in un camicione sformato. Felice, in estasi, ma pur sempre uno straccio con alle spalle due giorni di veglia, 13 ore di travaglio e relativo parto naturale indotto da galloni di ossitocina.
E’ il momento, sento riecheggiare per i corridoi della Mangiagalli le urla del neonato Leonardo, è una bestia famelica. Il suo pianto lacera il silenzio ovattato del reparto, un suono impossibile da ignorare, un neonato assetato di latte, del mio latte.
La puericultrice entra trottando in camera mia spingendo la carrozzina, tocca a me.
Lui è meraviglioso, perfetto, un miracolino e io farei qualsiasi cosa per dargli il mio latte, lo giuro, ma fin ora niente. Sfodero una tettona gigante, lui la germisce con le sue labbrucce voraci poi, un secondo prima di piangere, si gira verso di me e con uno sguardo di disprezzo scuote la testa sconsolato (ok, forse questo non l’ha fatto ma di sicuro l’ha pensato).
Le altre mamme hanno già avuto la montata lattea, le ho sbirciate di nascosto allattare i loro bambini mentre camminavo per il corridoio.
Dal mio seno non esce nulla però, non una goccia…la frustrazione si somma alla stanchezza e in un attimo mi sento già una mamma totalmente inadeguata. Leonardo non mangia da due giorni, bisogna fare qualcosa. La puericultrice mi serve la soluzione su un piatto d’argento: “Signora, c’è solo una cosa da fare: provi con il tiralatte”.
Torno in camera stringendo fra le mani un oggetto enorme, lì per lì non realizzo che si tratta di…ebbene si: una mungitrice.
Io e mio marito, ti amo, ci guardiamo senza trovare le parole e mentre premo il pulsante di accensione dell’infernale macchinario sento cadere per terra con un rumore sordo la parola “sexy”…è ufficiale ormai, non lo sarò mai più. Mi chino per cercarla, magari è sotto il letto, niente da fare, è scappata a gambe levate, per sempre.
Indosso delle mutande di rete mortificanti, un patellone, la camicia da notte di mia zia Piera ma negli occhi ho le fiamme di Mimì Ayuara, ce la farò, a costo di spremermi come un limone.
Stringo il mio topolino fra le braccia, voglio nutrirlo, voglio solo dargli da mangiare e recupero il buon senso: la protagonista non sono io, è lui, e deve mangiare.
Chiedo l’aggiunta di latte artificiale. Lo vivo, sbagliando, come un fallimento.
Il giorno dopo il latte come per magia è arrivato e anche se allattare è stata una delle esperienze più belle della mia vita confesso che con la mia seconda bambina ho chiesto subito di darle l’aggiunta. Li ho allattati entrambi fino allo svezzamento ma gli ho anche sempre dato un biberon di latte artificiale alla sera quando evidentemente, viste le urla di rabbia, il mio latte scarseggiava.
I benefici del latte materno sia fisici, sia psicologici sono noti a tutti: rafforza il legame affettivo madre-figlio garantendo al bambino l’assunzione di sostanze nutrienti e di anticorpi fondamentali per la sua crescita e il suo sviluppo.
Questo credo però che lo sappiate già, quello che non sapete è quanto a volte possa essere difficile, se non impossibile, farlo. Ci arrivano molte lettere in redazione su questo argomento, su quanto sia fondamentale allattare esclusivamente al seno, e non potrei essere più d’accordo ma quasi tutte le mamme fanno del loro meglio…chi non ha provato il paracapezzolo di silicone alzi la mano! …ah amiche mie, ho visto cose io che voi umani non potreste immaginarvi.
Tettarelle in fiamme al largo dei bastioni di Porta Nuova,
E ho visto coppette assorbi latte balenare nel buio sulla porta di casa.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo…
come lacrime nella pioggia.
È tempo…di allattare.
23 Maggio 2012