Keynes BlogFine dell’Euro o inizio dell’Europa?

Un destino annunciato fin dal suo inizio, quello dell’euro, non una crisi improvvisa e imprevedibile come le vicende che stanno attraversando attualmente il Vecchio Continente avrebbero la pretesa...

Un destino annunciato fin dal suo inizio, quello dell’euro, non una crisi improvvisa e imprevedibile come le vicende che stanno attraversando attualmente il Vecchio Continente avrebbero la pretesa di far credere. Questo è quanto ci vuole ricordare Jean Pisani-Ferry, Direttore dell’Istituto Breugel (fino a pochi mesi fa presieduto da Mario Monti e oggi da Jean-Claude Trichet) e Professore di economia all’Università di Parigi – Dauphine nel suo intervento su Project Syndicate.

Quando alla fine degli anni ’80 si avviava il processo che doveva portare alla costruzione dell’eurozona, era già molto chiaro l’avvertimento da parte degli economisti che la sua realizzazione doveva prevedere qualcosa di più che una banca centrale indipendente ed una regola di massima relativa alla disciplina dei bilanci pubblici. Questo avvertimento è stato confermato di volta in volta da un numero sempre più elevato di studi che sottolineavano la debolezza del “progetto-euro”, rilevandone la fragilità e invocando la necessità di meccanismi – fondati sulla presenza di una unione fiscale – in grado di salvaguardare i paesi in difficoltà.

L’euro doveva essere peraltro supportata da una più solida integrazione economica, mentre la presenza di una moneta unica richiedeva una legittimazione politica, ossia un governo europeo. Quel che si è realizzato, invece, è noto a tutti: sul fronte economico le basi poste sono state estremamente esili, mentre sul fronte politico non si è realizzato nulla ed è così che di un governo europeo non si è ancora vista nemmeno l’ombra. Non tutti erano così ingenui, e vi furono persone come Jacques Delors, allora Presidente della Commissione Europea, che avevano espresso già molte perplessità. Tuttavia, la fiducia che anche da queste persone veniva riposta nel progetto, nasceva dall’idea che strada facendo l’esistenza dell’unione monetaria avrebbe fornito l’impulso per riforme interne ai vari paesi, per una ulteriore integrazione economica e quindi per una qualche forma di unificazione politica.

In definitiva – si pensava – anche nella prima edizione di unione europea – la comunità del carbone e dell’acciaio (CECA) degli anni ’50 – si era proceduto passo dopo passo. Ma nulla di quanto atteso si è verificato. Anzi già nel 1999 appariva piuttosto chiaro come non vi fossero i presupposti perché la formulazione delle attese ottimistiche degli architetti dell’euro potesse trovare una almeno parziale realizzazione.

Ora, invece, i governi europei sono stati richiamati alla ragione dall’impatto della crisi, e sono stati costretti a riflettere molto velocemente su come ovviare a problemi ai quali avrebbero dovuto pensare molto tempo prima. La situazione, tuttavia, è resa particolarmente drammatica dagli effetti della crisi, che già si sono esplicati e non è pertanto sufficiente riflettere sulle debolezze originarie dell’euro. Insomma, i mercati vogliono sapere come saranno gestite le situazioni di default, in che modo la crisi di un paese si trasmetterà all’interno dell’area. Quali forme di gestione della sicurezza del sistema bancario potranno essere messe in atto, e quali forme di fiscalità comune potranno essere realizzate per garantire la stabilità economica di tutta l’area?

A queste domande cruciali per la sopravvivenza dell’area i governi europei dovranno inevitabilmente rispondere in tempi molto rapidi. L’ironia della sorte ha voluto che i governi europei divenissero solleciti nel prendere iniziative alle quali altrimenti non avrebbero neppure pensato. La crisi del debitoria della Grecia ha creato i presupposti per la creazione di un meccanismo di salvataggio. La crisi bancaria della Spagna potrebbe a ben vedere spingere per la creazione di una unione bancaria. E infine l’incombente possibilità di una uscita della Grecia dall’euro, potrebbe costringere i governi a delineare i contorni esatti di una unione fiscale.

L’opinione prevalente è oggi quella che la crisi europea potrebbe rappresentare l’inizio della fine dell’ardita costruzione a cui hanno dato vita coloro che hanno architettato l’euro. Ma le cose potrebbero essere viste in maniera opposta, in ragione degli spazi di scelta entro i quali i governi operano e potrebbero ulteriormente operare. In altri termini, nella misura in cui i governi sapranno rispondere efficacemente ai requisiti di stabilità che vengono richiesti dai mercati, la crisi attuale potrebbe anche essere ricordata come la fine di un (cattivo) inizio.

Ma, aggiungiamo noi, il relativo ottimismo di Jean Pisani-Ferry appare al momento difficilmente giustificabile. Nonostante le pressioni e l’isolamento, la cancelliera Merkel non appare disponibile a concedere neppure gli eurobond. D’altro canto i suoi oppositori interni, l’SPD, sono stretti dall’opinione pubblica tedesca, restia ad aiutare in qualsiasi forma i paesi europei in difficoltà. Il rebus è complicato, il tempo passa, e nelle classi dirigenti economiche e politiche della Germania prevale l’idea di lasciare l’euro e l’Europa al proprio destino, per puntare sui mercati emergenti. Leggi l’articolo su Project Syndicate [in inglese]

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