MultitaliansHezbollah: un partito che funziona

BINT JBEIL (Libano del Sud) – Il turbante è quello nero, che spetta di diritto ai discendenti del Profeta. L’anello di Ali degli sciiti luccica nella gestualità. Gli uomini di Hezbollah sono elegan...

BINT JBEIL (Libano del Sud) – Il turbante è quello nero, che spetta di diritto ai discendenti del Profeta. L’anello di Ali degli sciiti luccica nella gestualità. Gli uomini di Hezbollah sono eleganti e raffinati. Sanno bene che anche le buone maniere possono essere uno strumento di comunicazione politica. Hassan Nasrallah, il numero uno del Partito di Dio, parla attraverso due megaschermi fissati sulla spianata di Bint Jbeil, di fronte a una massa incalcolabile di sostenitori. Centomila? Forse. Gli organizzatori dicono di essere di più. Non è la quantità che importa però, ma la qualità.
La qualità delle dichiarazioni, dell’organizzazione e della persuasività propagandistica messa in opera dal movimento sciita. Che gli Hezbollah fossero gente seria già si sapeva. Lo hanno ammesso per primi gli israeliani. Dopo essere stati sconfitti due volte. Ma il loro era un riconoscimento rivolto quasi esclusivamente alle doti operative. Le milizie sciite restano le più pugnaci di tutto il Libano. Anche ora che nel Paese dei cedri si parla di resistenza nazionale e che le Forze armate cercano di recuperare maggiori risorse. Anche ora, in questo momento tanto critico e a quattro anni dalla morte del più spregiudicato condottiero, Imad Mughnyeh. Ma è nella politica che Hezbollah mostra i muscoli del tutto nuovi ma già tonici. La scorsa settimana, Hassan Nasrallah ha parlato a Bint Jbeil, per commemorare la ritirata dell’esercito israeliano dal Libano del Sud. Correva il 25 maggio 1992. Un comizio di fronte a una folla tutta accorsa spontaneamente per ascoltare il suo leader. Un comizio con i megafoni rivolti astutamente verso le frontiere. Affinché Israele potesse sentire.
«Con le vostre barriere e i vostri muri dimostrate quanto sia scarso il vostro coraggio», declama Nasrallah. Ma non sono gli strali di guerra a importare ormai. Il segretario del Partito di Dio celebra la vittoria di dodici anni fa spiazzando tutti, suggerendo una riforma costituzionale che permetta di superare le confessionalità. Vera spina nel fianco per un Libano politicamente stabile. Basta quindi con le istituzioni spartite sulla base di quote religiose, retaggio ancora del dominio francese. Basta con il presidente della repubblica che dev’essere un cristiano maronita, il premier un sunnita e infine il leader del parlamento uno sciita. Ed è lui, Nasrallah: lo sciita più attaccato alle tradizioni della sua fede, a sfoggiare un coraggio verso il futuro che né sunniti né cristiani sono mai riusciti ad avere. Nasrallah auspica un Libano laico? Forse non è proprio così. Ma poco ci manca. Perché Hezbollah sa di poter vincere facilmente. Anche senza quote istituzionali che possano assicurargli chissà quale carica. Il potere del movimento è nella massa – partito di lotta – e nella certezza di saper fare il leader – partito di governo. La forza del suo intervento sociale, in favore di tutti, glielo suggerisce. È il feedback collettivo a dirglielo. Questo immenso uditorio è fatto di giovani che studiano e lavorano grazie ai sussidi del Partito di Dio, di vedove di guerra la cui vita è assicurata da una pensione dignitosa e di gente comune, che può circolare liberamente in un Libano del Sud dove le strade sono illuminate e l’economia è tornata a crescere. Non c’è traccia della corruzione e degli affarismi sterili che caratterizzano la quotidianità dei clan di Geagea, Gemayel o della galassia sunnita, così troppo legata agli interessi stranieri.
Cosa resta di quell’Hezbollah che si ricorda nei luoghi comuni occidentali? Gruppo terroristico, movimento islamista votato alla morte e quant’altro. Accuse generaliste, alle quali Nasrallah non risponde nemmeno più. Anzi, il suo viso – rotondo e sorridente – snobba il nemico. È la qualità dell’efficienza di Hezbollah a replicare. E a impressionare anche i razionali testimoni dell’Occidente. (1)

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