La sfida per i prossimi sei mesi dell’Italia sui mercati obbligazionari sarà quella di piazzare quasi 244 miliardi di euro. La prima metà dell’anno, come ha ricordato il direttore generale del Debito pubblico del Tesoro Maria Cannata, è stata gestita in modo positivo. Ma come l’anno scorso, fra giugno e ottobre ci sarà il periodo più complicato. Dovranno essere collocati 158,7 miliardi di euro in titoli di Stato. Tanti, troppi. «Il rifinanziamento italiano, sotto il profilo dei costi, è già insostenibile», ha spiegato Morgan Stanley in una nota di due settimane fa. Un giudizio analogo è stato espresso da Citigroup, Goldman Sachs e UBS.
Se ci fosse un peggioramento della crisi italiana, si renderebbe inevitabile un intervento di sostegno per Roma. Nei corridoi del Fondo monetario internazionale, come anche in quelli della Commissione europea, continuano a rincorrersi le voci di un salvataggio dell’Italia. Nessuno parla apertamente di questa opportunità, ma intanto l’istituzione guidata da Christine Lagarde continua a smentire, anche senza che ve ne sia l’esigenza. L’ultima volta, ieri. E più passano i giorni senza l’adozione delle riforme necessarie, più il salvataggio dell’Italia diventa un’opzione reale.
Eppure, tutti guardano solamente allo spread. Da differenziale del rendimento di due diversi titoli di Stato è diventato il barometro della paura. Sei mesi fa lo spread era a 553 punti base. Ora è intorno a quota 400. Dietro a quelle sei lettere, c’è la paura, il timore del default sovrano, di essere come la Grecia. L’arma per vincere contro lo spread doveva essere Mario Monti, l’ex commissario europeo, l’uomo giusto per risollevare l’Italia. Ma dopo sei mesi di governo, il rischio che in Italia si ripresenti lo stesso scenario dell’anno scorso cresce di giorno in giorno. E più che dello spread, bisognerà aver paura del possibile intervento di salvataggio.