Vale la pena? Sì, vale la pena di “andare a vedere le carte”, dando seguito a quanto proposto da Berlusconi e Alfano su una riforma costituzionale basata sul semipresidenzialismo (in specie si tratterebbe del disegno di legge, A.C. 4847, Calderisi e altri, “Introduzione dell’elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale e diretto e della forma di governo semipresidenziale”, presentata il 16 dicembre 2011 alla Camera e annunziata il 20 dicembre 2011).
Le ragioni che dovrebbero spingere a fare ciò sono almeno tre, due politiche e una tecnica.
Parto innanzitutto dalla ragione tecnica, che forse è la più semplice. Il semipresidenzialismo come forma di governo in sé è un tutt’uno con un sistema elettorale a doppio turno, ossia l’una non può essere in assenza dell’altro; questo legame simbiotico, che è meccanico e politico-istituzionale al tempo stesso, non soltanto è confermato da tutta la dottrina francese ma lo è anche dalla più attenta dottrina italiana che ha studiato il semipresidenzialismo. Peraltro, questa scelta consentirebbe di razionalizzare, così come è avvenuto in Francia tra IV e V Repubblica, non soltanto la forma di governo ma anche di sostanziare un sistema partitico che fatica ancora a tenersi su e a rinascere su basi più solide. A riprova, peraltro, basterebbe leggere le audizioni tenute nella Bicamerale D’Alema oltre che i numerosi volumi a sostegno di ciò, successivi alla stessa. L’Italia potrebbe quindi ben seguire tecnicamente questa strada, senza per questo snaturarsi. Anzi.
Ne consegue, che va chiaramente sgombrato il campo dall’equivoco che sia una proposta tecnicamente irricevibile, pericolosa per la nostra democrazia. Quello che veniva considerato un “colpo di stato permanente” si è dimostrato, da ultimo con Hollande, come una forma di governo capace di produrre governabilità e stabilità, anche in situazione di forti crisi politiche ed socioeconomiche.
Il tema quindi è squisitamente politico. Due ragioni per accettare. La prima è strategica: il semipresidenzialismo, che può essere sterilizzato nei suoi rischi coabitativi attraverso l’inversione del calendario elettorale e la riduzione del mandato, così come è avvenuto nel 2000 in Francia, è una forma di governo capace di valorizzare tanto una dinamica di verticalizzazione del potere, quanto una orizzontale consentendo un pluralismo pluripartitico. Inoltre, la possibilità di utilizzare il doppio turno porterebbe a selezionare, prima attraverso un voto del cuore, poi, nel secondo turno, attraverso un voto della ragione, istanze di rappresentanza politica ai fini della governabilità. Non poco di questi tempi.
E poi, per una ragione di squisita tattica politica. Per la prima volta il Pdl dà ragione alle tesi del Pd, sposandone i suoi progetti. Rifiutarlo non soltanto avrebbe come effetto il boomerang di un No inspiegabile, o meglio spiegabile esclusivamente alla luce della categoria dell’antiberlusconismo, ma anche quello di apparire all’Italia come conservatori di uno status quo simboleggiato dalla vituperata legge elettorale “porcellum”. Ergo, cui prodest? Il Pd dimostri di essere adulto, accettando di buon grado il fatto che il Pdl arriva (finalmente!) alle sue proposte e lo costringa a fare la sua parte. Se saranno rose, fioriranno. E se non lo saranno, sarà chiaro chi truffa il Paese, giocando al gioco del cerino…
* uscito nel n. 63 del 29 maggio 2012 del settimanale “Qualcosa di Riformista” (http://www.qdrmagazine.it/2012/5/29/63_clementi.aspx)