Accadde DomaniLa bomba a orologeria dei derivati. Una riflessione di Victor Uckmar

Il professor Victor Uckmar ci ha inviato questa sua riflessione sui derivati. E nell'occasione gli abbiamo strappato la promessa di un'intervista a Linkiesta sul tema di questi prodotti finanziari ...

Il professor Victor Uckmar ci ha inviato questa sua riflessione sui derivati. E nell’occasione gli abbiamo strappato la promessa di un’intervista a Linkiesta sul tema di questi prodotti finanziari che dilagano nella comunità mondiale degli affari. Ecco il contributo di Uckmar. (B.P.) 

“European banks feel founding crunch”. (Financial Times. 28 novembre 2011): secondo Dealog­ic le banche europee alla fine dell’anno sarebbero deficitarie per 241 miliardi di dollari. A fronte di queste tragiche necessità finanziarie prosperano gli strumenti e in particolaire i derivati. Secondo BIS (Derivatives Market Activity the Second half 2010 in Quarterly Review) alla fine del 2010 il valore “nozionale” dei derivati era di 670 trilioni, pari a circa undici volte il prodotto lordo mondiale! La loro tipologia è ricchissima: ne è classificata una cinquantina, in parte trattati ai mercati regolamentati, ma in gran parte  Over the Counter(OTC). E qui la fantasia degli speculatori non ha limitiI sospinta dagli alti profitti.

Si dice (Soros) che gli hedge funds siano “i campioni mondiali del profitto“: dalla fondazione ad oggi i dieci maggiori hedge fund – il Quantum Fund in testa – avrebbero guadagnato per i loro clienti 182 miliardi e nel secondo trimestre ben 28 miliardi di dollari (Financial Times. 2 marzo 2011). Ma è altrettanto vero che i derivati hanno comportato rovinose perdite, come è avvenuto anche per soggetti che dovrebbero avere una certa esperienza. Gli episodi già divulgati dalla stampa sono numerosi: la Deutsche Bank (che è considerata la banca tedesca preminente) è stata condannata a risarcire clienti danneggiati per cessione di swaps per euro 541.000 (Financial Times. 23 marzo): Barclays avrebbe grandi difficoltà per il portfolio of taxic assets, (Financial Times, 6 aprile 2011); molti Comuni e Regioni italiane hanno dovuto promuovere azioni giudiziarie per essere stati raggirati con i derivati; Rei Rajaratnam con il suo hedge fund Galleon è  sotto accusa ai New York per aver illecitamente conseguito oltre 45 milioni di dollari; 450.000 risparmiatori italiani sono stati “buggeratì” delle Banche con i bonds argentini e la classe dei risparmiatori è formata da inesperti e spesso ingenui che cadono in truppole come quelle tese da Madoff, (che coinvolse anche molte banche) e da Gianfranco Lande dei Parioli.
Il G7 e il G10, a fronte della crisi finanziaria degli scorsi anni (forse più grave di quella del 1929, questa causata soprattutto dal “panico”. mentre la recente è stata determinata da comportamenti anche delittuosi, a cominciare dal caso Enron) hanno auspicato interventi protettivi dei risparmiatori e sono stati creati numerosi comitati (il più efficiente e forse il Financial Stabilits Baard. presieduto con autorità dal nostro Mario Draghi) che peraltro sinora si sono preoccupati soprattutto del sistema bancario, riscontrando pero notevoli resistenze specialmente da parte delle banche statunitensi, inglesi e tedesche che  mal sopportano lo regole per l’adeguamento dei capitali (rna forse la resistenza principale è per i bonus ai loro amministratori). Ma anche qui, altro italiano, Andrea Emia, fa buona guardia. Nonostante tanti avvertimenti e tanti comitati, ben poco, per non dir nulla è stato fatto per i “derivati” anche se il pericolo è stato denunciato da tempo: pericolo che ricordo io stesso avvertii con la relazione introduttiva all’incontro di Venezia (2oo5) per i cinquanta anni della Rivista delle Società, memore delle conversazioni con i compiantì prof. Ariberto Mignoli e Cingano.
Poi avvenne la crisi del 2007/2008: secondo quanto attestato con autorità da Robert Rubin, dovuta in gran parte “all’uso massiccio e alla complessità” dei derivati.
Quà e là sono state suggerite proposte, quali una regolamentazione generale e l’uso di clearing houses, (costosissime), un apposito tribunale ma in concreto nussuna realizzabile: sembra di essere in un vicolo cieco, e il dilagare dei derivati, dei quali si approvvigionano molti fondi, è dovuto anche ai paradisi protettivi che si ribellano solo all’annuncio di regole, come ad esempio le Cayman islands, sede della gran parte degli hedge funds. Rubin e Calabresi negli Stati Uniti e da noi Guido Rossi, di fronte a tante difficoltà ed ostacoli, hanno espresso l’auspicio che, eventualniente da parte delle Nazioni Unite, sia affermata l’assoluta necessità della trasparenza, e cioè sapere cosa c’è dietro quel pezzo dì carta di contratto e risalire alla fonte: del resto questo è necessario anche per stabilire il complicato regime fiscale: il già Ministro Giulio Tremonti l’ha paragonato ad un vídeo game. Ma c’è una forte resistenza da parte dei  interessati come risulta anche dall’azione recentemente intrapresa davanti alla United States for the District of Columbia dalla International Swap and Derivatives Association e dalla Securities Industry end Financial Markets Association nei confronti delle United States Commodities Futures Trading Commission in merito al regolamento. L’atto dì citazione sarà pubblicato nel fascicolo numero 11. 7/2012 con nota del dott. Francesco Dian.
A mio avviso questa trasparenza potrebbe ottenersi con la tracciabilità. Del resto è un obbligo già diffuso anche per molti prodotti agricoli, dalla carne alle uova. Sarà cura degli intermediari accertare l’osservanza, il che dovrebbe rientrare nell’obbligo della diligenza che sta per essere imposto nelle regole recentemente condivise dal Parlamentu europeo e dalla commission Econ in sede di elaborazione della direttiva relativa ai sistemi di indennizzo degli investitori.
Da più parti si auspica la tassazione dei prodotti finanziari: ma a questo si potrà arrivare con successo solo con una regolamentazione sostanziale e il primo passo potrebbe essere la trasparenza attraverso il tracciamento che consentirebbe anche maggiore tranquillità per gli intermediari che continuano a piazzare prodotti il cui effettivo contenuto generalmente non conuscono. E il momento sembra propizio. 
 

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