Contro ogni logica geometrica, ci sono cose grandi che stanno in quelle piccole e cose enormi nascoste nelle piccolissime. Sono i dettagli minimi a raccontare com’è vivere senza coloro che, da un giorno all’altro, hanno deciso improvvisamente di togliersi la vita.
Lo spazzolino rimasto in bagno sul lavandino, una sciarpa poggiata distrattamente su una sedia, un post-it lasciato sul frigorifero dove è appuntata la quotidianità.
Pensavo questo guardando oggi le immagini della prima marcia nazionale in ricordo delle vittime della crisi economica che si è tenuta a Bologna. Guardavo quelle donne composte e dignitose che hanno perso il proprio compagno di vita perché non ha più saputo immaginare un futuro decoroso.
Pensavo alla madre della ragazza ventottenne che in Calabria, un mese fa, ha deciso di uccidersi perché ha visto infrangersi i suoi sogni contro il muro della mancata meritocrazia.
Mi piacerebbe menzionare tutti i loro nomi, uno per uno. Ma sono talmente tanti che potrei dimenticarmene qualcuno e non vorrei.
Perché ogni nome è un sospiro e una storia. Sempre la stessa, quella di una sconfitta. E sempre diversa, perché ogni dolore abita la vita a modo suo.
Dall’inizio dell’anno sono settantatre le persone che si sono tolte la vita perché non riuscivano ad andare avanti: avevano perso il lavoro o non l’avevano mai trovato, non riuscivano a far fronte al mutuo o ad onorare i debiti.
Giovani, meno giovani, imprenditori, disoccupati, operai: tutti uguali di fronte a quello che Guido Ceronetti ha definito il “leviatano fetentissimo della necroeconomia”, che costringe a fare i conti con un presente instabile e un futuro ancora più incerto e che fagocita impietosamente solo i più deboli.
Per questo dissento totalmente da ciò che Filippo Facci ha scritto qualche giorno fa, su Il Post, affermando che queste morti non vanno enfatizzate per evitare l’emulazione, dichiarando che la gente si è sempresuicidataper i più svariati motivi e lasciando intendere che se la gente si ammazza non è sempre colpa della crisi economica.
Per il rispetto nei confronti di coloro che ora non possono raccontare la loro verità, preferisco non commentare oltre.
Aggiungo soltanto che non avrei mai pensato che un giorno sarei arrivata a dire: “Bei tempi quelli in cui ci si suicidava ancora per amore”.