Quanto scritto finora su questo blog era diretto risultato di un periodo che ho trascorso ad Atene e in giro per la Grecia. In altre parole, sono stato immerso, per quanto possibile, nella vita e nell’attualità di questo paese. Quello che ho visto non è semplice da raccontare, perché in un certo senso è troppo semplice.
Mi spiego. In certo sensi, ciò che i media hanno messo in piedi dallo scoppio della fase acuta della crisi greca (cioè almeno da giugno del 2011) è una serie di riferimenti, linguaggi, immagini, che si sono via via consolidati, e che vivono ora di vita propria. “Tragedia greca”, “politici corrotti”, “proteste a Syntagma”, e correlate immagini sono tutti diventati elementi ricorrenti nella percezione di un paese che prima si vendeva -e noi volentieri compravamo- come un holiday resort. Questo aveva (ha ancora, a dire il vero) alcune cose di ottima qualità (mare sole spiagge) e altre meno, ma che volentieri si accettavano a fronte del valore delle prime e della generale piacevolezza del luogo. Tutto questo era parte cruciale di un sistema che, si è visto negli ultimi anni, era fragile, non sostenibile. E la situazione del paese ora è gravissima. La disoccupazione, in particolare giovanile, è altissima, le poche piccole e medie imprese chiudono per la difficoltà di ottenere il credito, la gente se ne va (da Atene, in particolare, e dalla Grecia, in generale). Io personalmente sono certo di non esagerare se scrivo che dei miei 30 giorni ad Atene non ne ho passato uno senza vedere qualcuno che rovistava nei cassonetti alla ricerca di qualcosa da mangiare.
Come se non bastasse, la politica, che è pesantemente responsabile per la situazione cui ha portato la Grecia, è entrata con le elezioni in un’ulteriore profondissima crisi. Se gli ultimi tentativi di creare un governo di coalizione filoeuropeista fallissero, la politica ammetterebbe come ufficialmente che non sa dare al paese quello di cui il paese non sa di aver un disperato bisogni, cioè un governo autorevole, che sappia, da un lato, imporre le necessarie riforme, e dall’altro negoziare con la Troika condizioni più favorevoli ad implementare quelle stesse riforme, senza radere al suolo un paese e il suo tessuto sociale.
Concediamoci di giocare con le parole per un attimo. Più che restare in Europa, la questione mi sembra piuttosto da porsi come un entrare in Europa, se con “Europa” intendiamo un sistema condiviso e integrato di regole e doveri, benefici e possibilità. La Grecia non era in Europa, in questo senso. Faceva finta di esserlo o le avevano fatto credere di esserlo, e ora il risveglio è durissimo. Per tornare all’inizio del mio discorso, finora questo blog ha cercato di raccontare il paese superando i luoghi comuni che fanno la loro buona parte nel nutrire i castelli in aria di cui sopra. Se scrivo questo, sia inteso, è peró per amore di questo paese, cui la sua immagine non fa bene, ed è in moltissimi caso imprecisa. Questo accade anche perché l’immagine stessa è deformata da un passato pesantissimo, quello classico, che però non è Grecia. Si trattava di un altra civiltà, che in tantissimi sensi non ha quasi nulla a che vedere con quella attuale. Questa è in massima parte disorientata, priva di guida, umiliata dai discorsi “degli altri” ( partners europei), impoverita, etc.
L’obbiettivo di questo blog era e resta cercare di raccontare la Grecia al di là dei linguaggi di cui si è detto sopra, vedere le cose che non si vedono. Ora, poco dopo le elezioni mi sono dovuto spostare, e la frequenza dei post si è necessariamente allentata (tanto più che l’aria post elettorale è molto nebulosa, cosa che rendeva benvenuto un cambio di prospettiva). Ma, oltre a cercare di tornarvi a giugno, continuerò a parlare di Grecia, su questo blog, e con diverse persone, expats, europei di altre nazioni (britannici e tedeschi in primo luogo, per ragioni logistiche), greci che hanno avuto fortuna, e tutto quello che mi capiterà di vedere. Insomma, more to come.