Avete presente Jack Jack degli Incredibili, quando in virtù dei suoi poteri mutaforma terrorizza Syndrome? Ecco, mio figlio duenne è nella fase del ‘no’ con relativo capriccio incendiario. E come ogni piccola guerra, è inevitabile, a volte si porta dietro un monte di recriminazioni e autoflagellamenti interiori.
Uno dei peggiori sensi di colpa è quando uso la forza per costringere mio figlio di due anni a fare qualcosa. Perché so che è sbagliato. O magari no, però a me lo sembra lo stesso. Perché so che non ottengo nulla. Perché anche se mi racconto che l’ho avvertito cento volte, so che non ha l’età per capire. Eppure, lo faccio lo stesso.
Però al nido e a scuola ti cazziano se fai tardi, al lavoro ci devi andare, poi hai anche tante cose da pensare, e comunque potresti anche essere un po’ nervoso di tuo. E allora guardi l’orologio e lusinghe e lamentele e proteste e minacce: il climax delle grida, il tunnel della rabbia che monta, lo scivolo facile e rapido dello scapaccione, che è là in fondo, energico, invitante, liberatorio. Maschio. E per non arrivarci, e per non cedere, allora ti lavo a forza, ti vesto a forza, usciamo a forza. Ti metto a forza in macchina, sul passeggino, sul fasciatoio.
L’ho fatto qualche volta, e il senso di colpa è feroce. Non perché ho imposto disciplina, non perché non ne avevo il motivo, ma perché sono stato sleale. Ho approfittato non della mia superiore esperienza o della mia posizione di autorità, ma della mia forza fisica. Per imporre una legge che è giusta, sacrosanta, necessaria. Ma alla fine mi sono nascosto dietro quella legge per esercitare pur sempre una dittatura. Per oppormi al piccolo dittatore che è ogni bambino sui due anni di età, lo ripago con la sua stessa moneta.
Come se gli avessi insegnato che il più forte vince sempre – una legge che considero molto poco umana e anzi un poco bestiale.
E poi è una cosa che ti lascia svuotato e stanco, incattivito e solo.