Il marchese del GrilloLa ricetta islandese per uscire dalla crisi: oltre al semi-presidenzialismo c’è di più

Fa freddo in Islanda, là su in cima alla cartina geografica dell’Europa quasi a voler scomparire in mezzo ai ghiacci. Poche ragioni per essere celebre, Bjork e i Sigur Ros uniche glorie d’esportazi...

Fa freddo in Islanda, là su in cima alla cartina geografica dell’Europa quasi a voler scomparire in mezzo ai ghiacci. Poche ragioni per essere celebre, Bjork e i Sigur Ros uniche glorie d’esportazione. Pochi anche gli abitanti: solo 300mila, l’equivalente di un gruppo facebook medio grande; la fan page del vituperato Berlusconi “piace” a 100mila utenti in più, per intenderci. Nessuna ragione per trascorrerci l’estate se non fuggire dall’asfalto incandescente delle grandi città. Affascinante però: la natura incontaminata, i geyser, il progresso ecocompatibile. E poi la qualità della vita, 12esima nel Prosperity Index 2011, l’indicatore del benessere interno. Prima addirittura per la sicurezza individuale. Tra i primi posti in tutte le altre classifiche: banda larga, diritti dei gay, pari opportunità. Nessuna forma di conservatorismo strisciante. Anche qui ha soffiato il vento della crisi: un debito di 4 miliardi di dollari da pagare per colpa dei magheggi della finanza; ma gli islandesi sono stati più furbi: due referendum hanno impedito che la classe media venisse messa in ginocchio.

In testa un primo ministro dal nome impronunciabile: Jóhanna Sigurðardóttir. Donna, socialdemocratica, primo e unico capo del Governo dichiaratamente omosessuale. E’ sua l’idea di riscrivere la Costituzione dopo aver assistito allo scempio di una classe dirigente spazzata via dalle inchieste. «Mi è sempre stato chiaro che una revisione profonda della Costituzione non potesse compiersi che con la diretta partecipazione del popolo», dice lei. E dunque via con un nuovo metodo, uno degli sviluppi più interessanti dell’e-democracy: il crowdsourcing. Un’Assemblea Costituente eletta a suffragio universale che più snella non si può: 25 membri. Sono persone di una normalità quasi disarmante: dal vecchio ecologista incallito alla giovane socialista naif passando per l’ex deputato che oggi lavora al mercato del pesce. Fotografia plastica della società civile, campione randomizzato che fa media zero di tutte le possibili differenze. I lavori cominciano nel febbraio del 2011: sono aperti a tutti, ognuno ha diritto di parola. Per i cittadini, un canale youtube in cui seguire i lavori in diretta e pagine su facebook e twitter per lanciare idee, suggerimenti e dibattere coi Costituenti. Il periodo di redazione è brevissimo: 5 mesi e poi ognuno torna alla propria occupazione. Il prodotto è tra i più innovativi.

Non c’è dubbio che la democrazia partecipata sia la nuova frontiera dell’azione politica; quanto sarà il tempo impiegato per raggiungerla rimane un mistero. Su questo l’Italia deve colmare un gap grande anni luce; impensabile un modello di governance digitale in un paese in cui la copertura della banda larga è ancora parziale. Colpa della classe dirigente più vecchia d’Europa, i nativi digitali si contano sulle dita di una mano. Anche questo significa rinnovamento.

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