Vi segnalo un interessante articolo che tratta il tema dell’ansia (Repubblica, 02.08.2011). Secondo lo studio, condotto dall’Irccs Medea di San Vito al Tagliamento, in collaborazione con le università di Udine e di Verona alla base del disturbo ci sarebbe un deficit di collegamento comunicazionale tra due aree del cervello che non dialogherebbero appunto, tra di loro. nel momento in cui avviene questo si ingenererebbe nel cervello una sorta di panico che farebbe entrare in crisi il cervello. E noi di conseguenza! Le aree che si troverebbero implicate in questo processo sono le aree parietali e callosali posteriori dell’emisfero destro che sarebbero implicate nella percezione sociale e al riconoscimento del proprio corpo nello spazio. Non vi nascondo quanto mi affascinino queste scoperte, quanto mi piacciano queste infinite porte che stiamo aprendo nel cervello umano.
Credo, naturalmente, che questo tipo di spiegazioni sia del tutto insufficiente per spiegare un fenomeno più complesso e, per sua natura stessa, sociale. Nel momento stesso in cui una realtà è dotata della capacità di auto-osservarsi, entra in gioco una complessità di fattori, una molteplicità di combinazioni che rendono queste spiegazioni deficitarie da vari punti di vista. Tralascia, soprattutto, il valore che quel malessere provoca all’individuo. E questo rende necessariamente lo sguardo dell’ansia dal punto di vista ‘chimico’ uno sguardo parziale. Certo, se questo tipo di conoscenze potessero permettere passi avanti nella conoscenza dei meccanismi che sottostanno al nostro funzionamento non potrebbero che essere salutate con entusiasmo. Il rischio è che, però, si cerchi più una disfunzione e una cura corrispondente che ignorano, come detto, il senso che il malessere ha nella vita dell’individuo che ne soffre. Sono piani paralleli di indagine e per entrambi una polarizzazione eccessiva verso i rispettivi estremi non possono giovare alla comprensione della complessità di una realtà così sfaccettata.
Intanto, eccovi il link:
L’articolo è a firma di Flavio Bini.
A presto…
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