CREATIVINDUSTRIELe Torre Galfa d’Europa, buone pratiche di sussidiarietà.

L'occupazione abusiva del grattacielo milanese da parte del collettivo Macao era un'azione illegale e lo sgombero effettuato ieri dalla polizia ne è stato l'inevitabile epilogo. Quindi questione ch...

L’occupazione abusiva del grattacielo milanese da parte del collettivo Macao era un’azione illegale e lo sgombero effettuato ieri dalla polizia ne è stato l’inevitabile epilogo.

Quindi questione chiusa?

Pare proprio di no.

Le domande che sono emerse, per la politica e per la città e a cui dover dare ancora risposta sono molte. La discussione ancora molto accesa. Ed è utile che sia così.

Foto connyrusso

Il giorno dopo lo sgombero sembrano tutti scontenti. Senz’altro lo sono quelli del collettivo Macao e simpatizzanti, che dopo tanto lavoro (di pulizia, progettazione, comunicazione) vedono infranto il loro sogno di uno spazio per una creatività svincolata dalle leggi di mercato.

Scontenti sono anche i legalitari di destra e di sinistra che nonostante l’avvenuto sgombero denunciano tentennamenti e cerchiobottismo del sindaco Pisapia.

E scontento è forse anche Pisapia stesso, che ha visto spaccarsi la maggioranza ‘arancione’ tra favorevoli e contrari all’occupazione.

Alla fine, Pisapia ha estratto dal cilindro una soluzione per il collettivo Macao: uno spazio nei locali dell’ex Ansaldo.

Promettendo anche due cose:

  1. che ciò avverrà in tempi brevi, “fra poche settimane, anche prima”;
  2. che verrà svolta attività di “pressione” sulle proprietà private di spazi abbandonati.

Bene. Bravo. Bis.

Foto connyrusso

Senonché, la questione Torre Gualfa non è questione solo di spazi.

E infatti, svanito in una frazione di secondo l’effetto stupore, per l’arrivo di domande e polemiche il tempo di attesa è stato impercettibile: è giusto premiare con una sede chi occupa? Quale sarà la strada per spostare il collettivo? Un bando o l’assegnazione diretta? Saranno rispettate le regole dei bandi? E delle procedure?

In molti hanno approcciato la questione come un problema di regole. Regole e legalità, sono state tirate in ballo più volte e da più parti. Come è ovvio. Come è giusto.

Eppure Macao non è un’occupazione qualsiasi e neppure una qualsiasi associazione che chiede spazio al Comune.
Dietro l’occupazione di un monumento allo spreco di 31 piani, c’era, forse, anche un tentativo di dialogo diverso da quello tante volte sperimentato in passato da altri occupanti abusivi. Sì, certo, magari con posizioni rigide e posizioni assolutistiche da parte di alcuni. “Non vogliamo nessuno rapporto con le istituzioni”, ho registrato affermazioni di questo tono quando ho fatto visita alla Torre nei giorni dell’occupazione, tuttavia quello che mi è saltato agli occhi è stato sopratutto il tanto impegno e le tante competenze. Non c’era la logica antagonista di alcuni centri sociali. C’era al contrario apertura a tutti, e partecipazione alla vita del quartiere. Macao proponeva (proporrà?) “tavoli di lavoro”, laboratori di economia, politica e riciclo aperti a tutti, anche uno sugli orti urbani, grazie al contributo del quartiere. Fra gli obiettivi, per esempio, quello di avviare un processo per valorizzare un luogo abbandonato per restituirlo a tutta la città.

Foto connyrusso

Pur nella consapevolezza che undici giorni, la durata dell’occupazione, sia un tempo troppo esiguo per una valutazione corretta, si può però ipotizzare che nessun bando potrebbe rigenerare questa esperienza.

Perché legalità e regole sono indispensabili, ma da sole non bastano.

Sono il punto di partenza da cui poi si deve arrivare a soluzioni che tengano conto della complessità e degli interessi in ballo, che non sono solo quelli di un gruppo di “creativi” (termine di per sé scivoloso), ma di aree urbane, di comunità e della città tutta.

Anche chi fortemente critico con l’occupazione, e con il modo in cui è stata gestita dalla giunta comunale, ha sottolineato infatti come la conflittualità innescata da questa iniziativa possa essere benefica per la città per le domande che sono state sollevate (mi riferisco, per esempio, alle diverse dichiarazioni di Carlo Masseroli, capogruppo del Popolo delle Libertà a Milano, e del post sul suo blog qui su Linkiesta).

Quali possono essere queste soluzioni allora?

Giangiacomo Schiavi sul Corsera del 16 maggio suggerisce per esempio quelle adottate in passato da altri sindaci, come Aniasi. Occupazioni autorizzate con il patto di sistemare l’area e i locali e garantire una corretta gestione, in questo modo il Comune lascia in uso uno spazio altrimenti destinato al degrado. Senza occupazioni abusive, ma rispettando le regole e la legalità.

Altre riflessioni ci vengono dall’assessore alla Cultura Stefano Boeri, che pur non condividendo l’azione dell’occupazione abusiva riconosce l’opportunità che può venire dal non soffocare le forme di autogestione fatte di energie costruttive, creatività, innovazione, evitando le semplificazioni e gli schematismi assoluti su ciò che è legale e ciò che non lo è e guardando ai contenuti.

Il sostegno chiaro al collettivo Macao da parte dell’assessore Boeri ha generato polemiche, certo, ma il suo sottolineare che la creatività nasca spesso in luoghi non totalmente regolati “dai muri di periferia ai sottoscala” offre spunti di riflessione interessanti e dovuti.

Il modello che ha in mente Boeri è quello di città come Londra o Berlino, dove gli edifici abbandonati, anche privati, possono essere affidati agli artisti, con la vigilanza delle amministrazioni o di “New York dove c’è una associazione nata occupando abusivamente spazi vuoti, che ora collabora con l’ amministrazione Bloomberg, che non è certo di sinistra”.

Certo le “buone pratiche” internazionali, anche quelle eccellenti, non sono sempre trasferibili, non sono ricette che vanno bene per tutti e per ogni città, come differenti sono le comunità per natura e obiettivi. Esperienze come quelle di ufaFabrik a Berlino, o di Gängeviertel ad Amburgo, o di altre significative di Amsterdam e dell’Aia non è detto che siano replicabili a Milano. Il comune denominatore tuttavia è quello di esprimere innovazione in sistemi locali, offrire discontinuità al contesto introducendo nuovi significati e modi di fare le cose, collaborare e condividere spazi laddove l’utilizzo individuale di solito prevale.

Anche offrendo servizi alla cittadinanza. Culturali, ambientali ma anche sanitari. Secondo il principio di sussidiarietà, quel principio regolatore tale per cui se un ente che sta “più in basso” (un collettivo, un associazione di quartiere) è capace di fare qualcosa (fornire luoghi di aggregazione al quartiere, recuperare aree dismesse, organizzare attività culturali e formative), l’ente che sta “più in alto” (il Comune) deve lasciargli questo compito, anche sostenendone eventualmente l’azione.

Quindi regole e legalità, ma anche molto studio di buone pratiche e della loro possibilità di declinazione, affinché la città, e la politica, possano essere “comunità di apprendimento”, nella realtà e per le persone, oltre gli steccati ideologici.

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