Per una settimana di scosse brutte, un poema come un cumulo di macerie, da un poeta anch’egli terremotato. In quel caos tellurico, in quei bottiglioni imprecisati, in quei capannoni che vengono giù e in quel vano enumerare le singole componenti del caos, è difficile non scorgere i riflessi degli ultimi tg, dalle torri del Ferrarese alle bombole di Brindisi. Una settimana per sentirsi ancor più fragili e precari del solito; e pochi versi per aggirarsi, intontiti, tra le macerie di un’identità che potrebbe (poteva) essere la nostra. Un poeta fa questo per vocazione: raccoglie frammenti d’identità, li attacca a forme universali. Così Cappello prende l’esperienza del terremoto in Friuli (e per la precisione a Chiusaforte, posto di frontiera con il mondo slavo, e con quel “disordine” percepito che costituisce qui l’unico debole principio d’identità) e fa deflagrare un senso di rovina le cui schegge (quel micidiale “zenit dei prefabbricati”) ci colpiscono dritto nell’oggi con una forza tellurica e misteriosa. Come pure ci emoziona quella strana “libertà dei terremotati” che il poeta chiarisce in una nota: si riferisce a un vivere nelle baracche che diventa, per i bambini sottratti alle attenzioni dei genitori impegnati in altro, il ricordo di tempi liberi e nonostante tutto felici.
La poesia fa parte della raccolta Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, disponibile anche in ebook), con la quale Pierluigi Cappello ha vinto il prestigioso Premio Viareggio-Rèpaci per la Poesia nel 2010. Il volume, che si apre coi versi mozzafiato di Vittorio Sereni “nulla nessuno in nessun luogo mai“, raccoglie poesie scritte in un arco temporale di circa cinque anni e contiene anche versi in friulano, l’amata marilenghe per la quale mal tollera la definizione di lingua minore poiché “porta con sé un mondo, porta con sé i detriti della storia”.
Invalido dopo un incidente stradale, Cappello vive solo a Tricesimo, poco distante da Udine, in una delle costruzioni in legno donate dall’Austria alla popolazione italiana dopo il terremoto del ’76. Un appello sottoscritto da migliaia di cittadini e intellettuali ha avviato l’iter per l’assegnazione al poeta dei benefici della legge Bacchelli, un vitalizio per gli artisti di chiara fama che versano in condizioni disagiate.