Il prossimo 9 maggio sarà la quinta volta che celebreremo il Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo interno e internazionale, e delle stragi stabilita con la legge 4 maggio 2007, n. 56.
Forse non è fuori luogo proporre una riflessione non celebrativa.
Gira da tempo una petizione on line per l’inserimento di Stefano Gaj Tachè nell’elenco ufficiale delle vittime del terrorismo. Stefano Gaj Tachè (25.7.1980 – 9.10.1982) fu ucciso da terroristi il 9 ottobre 1982 all’uscita dalla Sinagoga di Roma al termine di una giornata di preghiera dedicata ai bambini.
Intorno quell’attentato che avvenne sulla scia di una campagna politica e di opinione a dir poco “calda” in cui molte volte la distinzione tra antisionismo e antisemitismo fu passata, anni fa si espresse il Presidente emerito Francesco Cossiga in un intervista concessa a Menachem Ganz del quotidiano israeliano “Yediot Aharonot”.
In quell’intervista (uscita il 3 ottobre 2008) Cossiga dichiarò le responsabilità degli uomini di governo di allora che, conniventi con quel crimine, quel tragico giorno avevano ritirato le volanti della polizia che di regola sono a guardia del Ghetto di Roma.
Non sarebbe dunque fuori luogo “scavare “ intorno a quei fatti.
La questione tuttavia non è solo giudiziaria. Riguarda un dato di mentalità e sollecita, perciò, uan considerazione politico-culturale.
Dunque non sia tratta solo di stabilire il “certo”, ma si capire come si costruisce il “vero”.
Perché essere o non essere in quella lista significa essere riconosciuti o meno come vittime del terrorismo.
In quella lunga lista di nomi in cui compaiono i militanti di tutte le componenti politiche, i tutori dell’ordine, i magistrati, quelli uccisi per sbaglio, perché scambiati per qualcun altro, il nome di Stefano Gaj Tachè non c’è.
E’ interessante chiedersi perché. Perché quando un elenco risulta incompleto, al di là di tutto, indica non la smemoratezza ma ciò che si associa al principio fondante che quell’elenco rende coerente. E allora mi chiedo:
Il terrorismo di cui si testimonia le vittime quella lunga lista ha come principio il fatto che quelle vittime siano cadute all’interno del territorio nazionale?
Riguarda solo le vittime di una specifica guerra per bande?
E’ stato parte della storia italiana e ha segnato la storia italiana o le vittime scelte da altri e designate nella loro funzione di bersagli,perché riferite, dai loro uccisori, ad altre guerre in corso non sono rubricabili, e dunque iscrivibili nel novero delle vittime?
E allora mi chiedo, e chiedo:
Stefano Gaj Tachè cittadino italiano, morto sul territorio italiano, per mano di un gruppo di fuoco non italiano che è venuto qui, nel territorio della Repubblica italiana, a combattere una sua guerra che avrebbe dovuto combattere altrove, auspicabilmente con mezzi diversi da quello dell’attentato terroristico, è parte della storia italiana?
Oppure
Stefano Gaj Tachè, pur essendo cittadino italiano, è una vittima di un’altra guerra dei cent’anni che altri devono inserire nella lista dei loro morti?
Perché al solito la memoria non è solo selettiva,ma anche prescrittiva e quando si inseriscono o non si inseriscono nomi, ciò avviene per un principio, ovvero per un criterio. Bene mi piacerebbe capire qual è.
Lo chiedo non per pettegolezzo, ma per “storia minima”.
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