Argentina agrodolcePregare per la patria porta a piacevoli sorprese

Dopo essere rimasta incollata per tre giorni alle notizie sul terremoto in Emilia, commossa davanti alle immagini, ai racconti, ai danni, alle paure e alle frustrazioni di questa ahimè ricorrente c...

Dopo essere rimasta incollata per tre giorni alle notizie sul terremoto in Emilia, commossa davanti alle immagini, ai racconti, ai danni, alle paure e alle frustrazioni di questa ahimè ricorrente calamità, mi sono ritrovata con una gran voglia di pregare. Sì, pregare.

E se esistesse un’analogia tra la catastrofe naturale e il flagello della crisi che stiamo attraversando? La terra trema, in tutti i sensi. Da settimane, da anni, da millenni i terremoti riscattano la nostra impotenza, la nostra arroganza. Mi chiedo se non sia una forma metaforica che la natura usa per farcelo presente.

In balia di queste assurde riflessioni, ho pensato che non mi restava altro che pregare per il nostro paese, oramai traballante sotto molti punti di vista. Grazie a Dio sono capitata nel posto giusto per farlo. In Argentina, dove ci sono 34 milioni di fedeli, pari al circa 85% della popolazione, è facile rifugiarsi nella Fede cattolica e nella preghiera. Le chiese, belle o brutte, sono ovunque, sempre aperte, attive. Basta entrare, sedersi e pregare. E non si è mai soli.

A Buenos Aires la Basilica Nuestra Señora del Pilar, nell’elegante e centralissimo quartiere della Recoleta, per la sua architettura coloniale, per la sua antichità (fu terminata nel 1732) ben conservata nell’altare, negli ornamenti, nelle icone religiose, è stata dichiarata monumento storico nazionale. Dalle prime ore del mattino, illuminata fino a tarda sera, la basilica è sempre aperta. Questo ne fa un luogo accogliente e speciale, ideale per abbandonarsi alla preghiera.

Così, ben intenzionata a pregare per il mio paese, mi sono ritrovata inginocchiata sul legno consumato dei banchi di questa magnifica chiesa. Pochi minuti di bisbigliate Ave Marie e alzando lo sguardo, nella parte sinistra della basilica, vedo un cartello che indica l’accesso a un luogo che prima di allora non avevo mai notato, dove si legge “Claustros del Pilar”. Mi alzo fremente di curiosità ed entro in questo luogo appartato. Possibile che in dieci anni non fossi mai entrata? Irritata dalla mia ignoranza e arroganza, convinta di aver sperimentato ormai ogni angolo di questa città, mi sono messa in coda dietro a una coppia di turisti colombiani e ho aspettato il mio turno per comprare il biglietto. Manuela, una giovane studentessa di storia dell’arte, ricevuti i miei cinque pesos di contributo, mi offre sorridente una visita guidata, a cui non posso certo rinunciare. Le dolcezze dell’Argentina del resto sono proprio queste.

Inizio così a scoprire nella galleria laterale della basilica, una parte del convento dove anticamente si suppone vivessero i monaci Recoletos, l’ordine francescano che si stabilì qui all’inizio del secolo XVIII e che fondò la basilica del Pilar. Attraverso una scala si sale alle stanze che i monaci anticamente usavano come deposito per gli attrezzi, che oggi sono allestite come un vero e proprio museo religioso, d’impronta decisamente coloniale. Magnifiche immagini sacre di arte popolare decorano le pareti intonacate, perfettamente intatte e rivelatrici del duro lavoro costruttivo dei monaci, mentre un enorme libro con il testo del canto gregoriano occupa misticamente un’intera stanza.

Ma la migliore scoperta di questa esperienza, sono le finestre di legno, che al posto dei vetri hanno cuoio di vacca o lastre di marmo, e da cui si gode la miglior vista sul gran cimitero della Recoleta. In questo famoso cimitero, attrazione turistica per i devoti a Evita Peron, che vengono a visitare la sua tomba, i Recoletos anticamente coltivavano minuziosamente il loro orto produttivo, prima che venisse rimpiazzato da illustri sepolcri.

Entusiasmata dalla visita interessante, non mi accorgo che si è fatto tardi e mi avvio rapidamente verso l’uscita della basilica. Quando mi giro verso l’altare per fare il segno della croce, vedo, affissa al portone d’ingresso, accanto agli avvisi parrocchiali, la tradizionale preghiera per la Patria, che in Argentina, nei momenti difficili dei suoi governi altalenanti, i fedeli recitano convinti all’unisono, alla fine della Messa.

Fino ad oggi questa preghiera mi era sembrata di un patriottismo estremo, quasi irritante ma oggi la guardo con occhi diversi. L’Argentina ha i suoi terremoti e noi i nostri, dai quali si ha fede di risollevarsi sempre…Forse pregare per la propria patria, non è poi un’idea così malvagia.

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