Conosco a stento Paolo Gabriele. Lo incrociai qualche volta per le strade di Lorenzago di Cadore e Bressanone, mentre passeggiava amabilmente con il segretario del papa, il suo medico e le “memores domini” per le strade dei paesini in cui Benedetto XVI trascorreva le sue vacanze chiuso in casa a leggere e riposare. Affabile, gentile, discreto. Troppo poco per esprimere un giudizio sulla sua innocenza o la sua colpevolezza. Non tutto, però, mi convince nella storia dell’arresto del maggiordomo del papa perché – è l’accusa – sarebbe lui la “talpa” che da mesi fa filtrare sui giornali, e da ultimo nel libro di Gianluigi Nuzzi Sua Santità, i documenti riservati della Santa Sede.
La vicenda è intricata e va messo qualche paletto. Primo, nessuno, dico nessuno, ha mai confermato ufficialmente che è Paolo Gabriele il colpevole. Non ci sono dubbi che sia lui l’uomo in stato di arresto nelle camere di sicurezza della gendarmeria vaticana, che sia lui la persona interrogata da giovedì sera dal promotore di giustizia vaticano Nicola Picardi. Ma la riservatezza tenuta dalla sala stampa vaticana sull’identità del principale indiziato dello scandalo Vatileaks non è priva di significato.
Secondo, se è il maggiordomo la fonte “Maria” del libro di Nuzzi, e se il racconto che fa il giornalista di Libero nella prefazione del suo libro è veridica, e non una – legittima – copertura delle sue fonti, allora Paolo Gabriele ha molti, moltissimi complici. Ed è un capro espiatorio. Nuzzi racconta di essere stato avvicinato prima da alcuni intermediari. Tra di essi, persone alle quali “ogni tanto sfugge loro qualche parola che ricorda più le caserme che le sacrestie”. Il giornalista viene prelevato da una macchina che fa diversi giri della città prima di arrivare ai luoghi degli incontri – tra di essi, un appartamento sfitto – e poi racconta di aver raccolto le carte d’accordo con un “gruppo” di persone: “Chi lavora all’Apsa, l’ente che gestisce finanze e patrimonio, chi al governatorato che sovrintende su appalti e forniture, chi alla segreteria di Stato e via via fino alla gendarmeria vaticana”.
Terzo, molte delle carte pubblicate da Nuzzi sono state pubblicate anche da Marco Lillo sul Fatto quotidiano. Perché l’intraprendente maggiordomo avrebbe contattato due giornalisti bravi, affermati, ma – è il caso in particolare di Lillo – con poca dimestichezza con gli ambienti vaticani?
Quarto, il movente. Gli osservatori si sono divisi sul bersaglio dell’operazione Vatileaks: screditare il cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone? O screditare l’intero pontificato? Perché fare uscire i documenti sui giornali? In questo modo, spiega la fonte “Maria” a Nuzzi, “l’azione di riforma avviata da Ratzinger avrà una sua inevitabile accelerazione”. Se così fosse, sarebbe interessante capire perché – sebbene mosso, magari, da una delirante strategia personale – chi vive nell’appartamento pontificio si fa persuaso del fatto che il papa sia così in difficoltà, così osteggiato, così impotente da avere bisogno di una fuga di notizie per realizzare, finalmente, il proprio programma di riforme.