Le FlâneurTempi grami per i gentiluomini eleganti

Cara lettrice, Caro lettore, raccontava un vecchio e caro amico, cittadino dei tempi e dei ricordi andati, che quando gli toccò la prima comunione in chiesa fu così, d'improvviso. La mattina del s...


Cara lettrice, Caro lettore,
raccontava un vecchio e caro amico, cittadino dei tempi e dei ricordi andati, che quando gli toccò la prima comunione in chiesa fu così, d’improvviso. La mattina del sacro giorno della Domenica, dopo aver sgraffignato dalla dispensa un tozzo di pane, si era appartato sui gradini davanti al sagrato. Erano tempi di magra e il Nostro era intento a spiluccare quella fetta di pane condita da olio, sale e pomodori. Aveva cinque anni e indossava un completo grigio scuro a due bottoni, una camicia bianca e un sottile cravattino nero. I capelli erano in ordine e le unghie perfettamente pulite. Senza alcun preavviso, però, la mano ferma di una catechista lo aveva tirato su per il bavero della giacca e, di peso, condotto all’interno della chiesa, mentre le campane suonavano a festa e gli altri bambini razziavano il bottino lasciato incustodito. Non aveva seguito nessun corso di preparazione, né tanto meno era consapevole di cosa stesse succedendo intorno, ma senza protestare rimase in fila e venne accettato alla Mensa del Signore. Terminata la funzione, mentre si recava a casa, si domandava quale fortuna lo avesse illuminato a tal maniera da permettergli di bruciare le tappe della formazione cristiana. Data la sua innocente età niente di meglio gli era sovvenuto che non fosse raccontarsi la nuda e cruda verità: chi ben si veste sarà ben accolto.
Cresciuto, quel giovane discolo, aveva deciso di trasferirsi in via Merulana a Roma per imparare da un maestro l’arte sartoriale. Passavano gli anni e la sua tecnica si era raffinata a tal punto da farlo diventare consigliere e maestro di stile ed eleganza. Nel suo laboratorio si animavano discussioni tra i padri, intenti a trasmettere il buon gusto del vivere maschile ai propri figli. Lui, il nostro amico, era assurto ad artista dell’imbastitura e conoscitore dei tessuti. Stirava le sue creazioni con un ferro a carbone e non permetteva che i dettagli rovinassero l’armonia dell’insieme. Sosteneva che l’eleganza fosse un moto senza tempo, fermo nell’istante in cui i maestri lo avevano pennellato.
Come gli era successo con la catechista, però, d’improvviso qualcosa turbò il panorama. Sulla scena erano comparsi i grandi magazzini e i loro abiti confezionati che, data la poca cura ai dettagli e le stoffe via via più povere, erano economicamente più vantaggiosi. La sartoria è arte che costa al grammo, nulla che possa competere con un pantalone venduto nell’ordine di tonnellate. Si convinse che tutto questo puzzasse di diavoleria, punizione divina in conseguenza della moda di andare per strada scappellati.
Il suo laboratorio prese ad essere un faro desolato, abitato dal solo custode. Era divenuto un nobile decaduto e decise, dunque, di ritirarsi in campagna a curare il proprio animo elegante, insegnando a chi stava ad ascoltarlo cosa significa vestirsi alla maniera dei Padri. Morì di vizi e virtù, ma comunque felice di non essersi lasciato corrompere dal diavolo.

Cordialità
GianMaria D’Aspromonte

La foto è stata presa da fotofamilia.it

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