Trattative sul nucleare, minacce di guerra e diritti umani: a che punto siamo in Iran?

Non vedo l'ora che si smetta di minacciare di bombardare l'Iran, perché più si parla di questo, meno spazio è lasciato ai diritti umani. Molti attivisti per i diritti umani in Iran, infatti, trovan...

Non vedo l’ora che si smetta di minacciare di bombardare l’Iran, perché più si parla di questo, meno spazio è lasciato ai diritti umani. Molti attivisti per i diritti umani in Iran, infatti, trovano molto difficile occuparsi della situazione interna del paese, quando questo rischia di trovarsi avvolto in nuvole radioattive liberate dalle bombe israeliane sganciate sulle centrali nucleari.

Eppure la situazione è delle più gravi. Settimana scorsa in Iran è stata eseguita una condanna a morte ogni tre ore. L’Iran da anni si classifica come il paese con il più alto numero di condanne a morte per abitante. Nella lista del numero di condanne a morte eseguite in valore assoluto si classifica solo dopo la Cina, per ovvie ragioni demografiche. Dopo un periodo relativamente senza controlli, dovuto evidentemente alle elezioni, la polizia è tornata a tormentare le donne che si vestono in modi giudicati irrispettosi, ma non solo. Anche i padroni di cani stanno passando delle orribili giornate, dal momento che la polizia ha l’ordine di sequestrare tutti i cani che vengono portati a passeggio (a Teheran è vietato). Posso solo immaginare la mia disperazione se mi portassero via il mio labrador, Kiwi. Nel frattempo non sono mai smessi i raid alle feste private, dove tutti i partecipanti vengono arrestati e processati per consumo di alcol, ascolto di musica occidentale, e chi più ne ha più ne metta. Poche settimane fa sono stati arrestati due studenti iraniani appena rientrati dall’Europa perché tre anni fa avevano partecipato alle manifestazioni contro i brogli elettorali avvenuti alle elezioni presidenziali. Uno studente che aveva tenuto un discorso contro le violenze perpetrate dal governo, invece, è stato condannato a tre anni di reclusione.

Ma ci sono segnali di miglioramento sul fronte militare. Nonostante i colloqui per risolvere la “questione nucleare” vadano a rilento (dopo i colloqui di Istanbul ci sono stati quelli di Baghdad, il mese prossimo ci saranno quelli di Mosca e poi chissà quanti altri) la tensione è scesa. Bene, perché questo ha influito positivamente sul prezzo del petrolio. Ha influito soprattutto la ribellione dell’establishment militare israeliano alla politica di Netanyahu. I vertici dell’esercito infatti hanno voluto ribadire che l’Iran ha una dirigenza razionale (ovvero che ragiona secondo il proprio tornaconto, che è una cosa positiva perché significa che non abbiamo a che fare con dei pazzi) e che l’Iran non ha preso la decisione di fabbricare una bomba atomica, come già spiegato da tutte le agenzie di intelligence statunitensi nei mesi scorsi.

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