Rafforzare la rinata democrazia in Europa e rilanciare la crescita: era il 5 giugno del 1947 e il segretario di stato americano, George Marshall annunciava al mondo il mega prestito che gli Stati Uniti avrebbero garantito ai paesi devastati dalla guerra. “È logico – diceva Marshall – che gli Stati Uniti facciano quanto è in loro potere per contribuire a restaurare nel mondo quelle condizioni economiche normali senza le quali non ci può essere stabilità politica, né sicurezza né pace”.
Sono passati 65 anni. Ma, ironia della sorte, basta leggere le prime pagine dei giornali di oggi: cambiano gli addendi, e il risultato non cambia, o cambia di poco, in Europa servono soldi. Certo, il contesto è immensamente diverso. Così come le posizioni degli attori: “Obama preme sull’Europa”, titola il Corriere. Di certo non ha in mente un piano di salvataggio economico; no, dopo 65 anni solo uno “schiaffo” per dirla con Repubblica, da prendersi e zitti. «I mercati restano scettici sul fatto che le misure prese finora siano sufficienti ad assicurare la ripresa in Europa e rimuovere il rischio che la crisi peggiori”, dice il portavoce del Presidente per interposta persona. Servono ulteriori passi. “Insomma datevi una mossa là a Bruxelles!”, sembrerebbe dire.
E mentre Merkel continua a battere i piedi e dire “Nein! Nein!” agli Eurobond, ci si interroga su cosa si potrebbe fare ancora.
Nei mesi scorsi, El Pais annunciava, citando fonti della Commissione Europea, un Piano Marshall Atto II, fatto di investimenti pubblici e privati per una somma di 200 miliardi di euro; tutto smentito dall’Unione Europea. Che parla di ricapitalizzazione della Bce e di project bond, soluzioni che assieme ai fondi europei disponibili porterebbero a circa 180 miliardi di euro.
La verità è che quei soldi servirebbero davvero: il Piano Marshall, quello originale, cambiò la faccia dell’Europa, e in particolare dell’Italia, e oggi avremo un gran bisogno di un bel “make-up”. “Non solo austerità, la crescita economica è una priorità”, è il ritornello che circola tra le stanze del potere. “Priorità” oltre che con “austerità”, fa rima anche con “verità”. Ma solo a parole purtroppo.