Se fossi in Beppe Grillo, per aumentare il crescente consenso nel corpo elettorale non mi arrischierei più in avventate affermazioni sulla mafia facilmente fraintendibili (ha ragione Gian Antonio Stella: «Dice che l’hanno capito male? Peggio per lui: su certi temi ci pensi settanta volte sette») o sulla cittadinanza agli stranieri, né tantomeno perderei il mio tempo ad invocare l’intervento di un capo dello Stato sordo al boom 5 stelle per l’abolizione del reato di vilipendio (peraltro già chiesta da Napolitano con una delle poche note di merito del suo settennato).
Per guadagnare voti, basta che continui a fare ciò che ha fatto finora, ovvero denunciare il quotidiano marcio della politica, giocando moltissimo sull’accusa di «qualunquismo» che ogni giorno gli viene rivolta: dire che destra e sinistra – se innanzitutto accettiamo che esistono ancora e che vanno identificate con Pdl e Pd (lasciamo qui perdere il Centro di Casini, Fini e Rutelli) – sono identiche, sì, probabilmente è un estremismo ma, in fondo in fondo, la sostanza è quella.
Sì, Berlusconi e Bersani (e prima di lui Franceschini, Veltroni, Prodi e via risalendo nel tempo) sono antropologicamente e politicamente agli antipodi. Proviamo però a spersonalizzare la politica e a guardare ai fatti degli ultimi venti anni: da una parte, la spudoratezza fatta a persona che sale al potere, incompatibile a priori con la Costituzione (non ci pare il caso di evocare miriadi di fatti noti a tutti); dall’altra, facce certamente più presentabili, ma che, nel concreto, accanto a normali obiettivi per un qualsiasi governo (leggi: minimi tentativi di risanare i conti alzando le tasse o con le «lenzuolate» proprio di Bersani), hanno bivaccato (leggi: nessuna effettiva revisione della spesa pubblica, come conferma il record di poltrone del II governo Prodi) e, soprattutto, infilato strafalcioni difficili da cancellare dalla memoria, spesso figli dei cosiddetti «inciuci» (ricordiamo, da ultimo, l’indulto di Mastella e, per il passato, la gestione delle frequenze tv, oltre che l’aborto della bicamerale D’Alemoni).
Nei fatti, la cosiddetta “sinistra” è stata insufficientemente alternativa alla cosiddetta “destra”. Certo, la gravità è diversa, ma, semplificando con un’iperbole, destra e sinistra italiane dell’ultimo ventennio sono state molto simili. L’ennesima conferma dell’assenza di un’alternativa al berlusconismo è arrivata oggi con ben tre avvenimenti: le designazioni per l’Agcom e per il Garante per la privacy; il voto di sfiducia in Lombardia contro Formigoni; il voto per autorizzare l’arresto del senatore Pdl Sergio de Gregorio.
Nel primo caso parliamo delle nomine per due delle autorità indipendenti previste in Italia. Quali fulgidi esempi di indipendenza sono stati scelti diversi esponenti partitici, quindi etimologicamente incompatibili con l’imparzialità richiesta dalla carica: sorvolando su Augusta Iannini in Bruno Vespa per carità di patria e rimanendo solo sui politici più noti, per l’Agcom troviamo Antonio Martusciello (già sottosegretario e viceministro nei governi Berlusconi e deputato di Forza Italia), per la privacy invece Giovanna Bianchi Clerici (ex deputata della Lega) e Antonello Soro (ex capogruppo del Pd alla Camera). Una spartizione bella e buona, tanto per confermare le famose parole di Berlinguer nella celebre intervista a Scalfari («I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela.. […] partiti hanno occupato lo Stato e tutte le istituzioni a partire dal governo, gli enti locali, gli enti di previdenza, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai tv, alcuni grandi giornali»).
Passando allo scontato esito del voto di sfiducia contro la giunta regionale lombarda guidata dal Celeste Formigoni, c’è da rilevare la polemica sorta intorno all’assenza del capogruppo Pd Luca Gaffuri, in vacanza in Grecia. Strabiliante la risposta alle polemiche: «Sono in corso polemiche pretestuose sollevate dalla maggioranza sulla mia assenza. Polemiche motivate dal comprensibile intento di spostare l’attenzione dalle vicende che riguardano Formigoni e che hanno portato alla nostra mozione di sfiducia. Avevo avvisato per tempo che in questi giorni sarei stato assente. Nessuno, del resto, può dubitare del mio impegno per indurre Formigoni. Il resto del Pd al Pirellone è fumo negli occhi». Il capogruppo dell’opposizione può andare in vacanza nel giorno della sfiducia contro l’acerrimo nemico, capito? Certo, il suo voto non sarebbe stato decisivo, ma non si può non ravvisare una somiglianza con l’atteggiamento di quei burloni di Pd, Udc e Idv che con le loro assenze hanno permesso l’approvazione dello scudo fiscale, soprattutto tenendo presente il ruolo di primo piano che il nostro Gaffuri ricopre.
Chiudiamo col respingimento della richiesta d’arresto per il senatore De Gregorio. Ricordando en passant che, come per Scilipoti e Razzi, per averlo portato in Parlamento nel 2006 dobbiamo sempre ringraziare Antonio Di Pietro (così, dopo Pdl, Pd, Udc e Lega abbiamo coinvolto tutti i partiti presenti in Parlamento), al voto di oggi per confermare o meno la richiesta di arresti domiciliari per appropriazione indebita nell’inchiesta riguardante Walter Lavitola si è verificato l’incredibile: ufficialmente, solo il Pdl era contrario all’arresto; lo scrutinio segreto ha però fatto il miracolo, portando i no a 169 e lasciando i sì a 109, con 16 astenuti. Un sentito grazie ai soliti franco-tiratori mescolati a quella che dovrebbe essere l’alternativa.
ALESSANDRO BAMPA