Oggi voglio parlarvi di un libro che mi ha colpito per la sua attualità e ironia.
“Aria precaria”, di Sara Root, racconta il bilico quotidiano di una ragazza italiana ma non solo. Racconta una generazione intera. Una generazione che si barcamena su una zattera in mezzo all’oceano del mondo del lavoro.
Il libro ripercorre gli anni dell’università e post- formazione di Sara Root. Scorre velocemente, va letto tutto di seguito per non interrompere quello stupore che ti avvolge nello scoprire simili realtà.
Sara da Milano si trasferisce a Roma: un’emigrazione nel senso inverso. Tale spostamento non inverte però la tendenza di cui è prigioniera Sara: una precarietà assurda e avvilente. Tutte le vicende lavorative da lei raccontate nel libro oltre ad essere grottesche, sono vere. Ed è questo il punto. Sono solo tanti esempi di un sistema consolidato in cui i diplomati, laureati e giovani annaspano senza riuscire a trovare una scialuppa. “Aria Precaria” più che una versione romanzata di una storia vera, rappresenta un triste quadro di una generazione che arranca, indietreggia e non molla. Poiché alla fine Sara trova un suo riscatto. Precario, rischioso e azzardato: ma lo trova. Lo trova nella scrittura, nell’amore, nella famiglia, nella voglia di mettersi in gioco. Sono queste le sue scialuppe, che non la lasceranno mai affogare.
Ed ora lasciamo che sia l’autrice stessa a dirci qualcosa in più.
Nel tuo libro leggiamo che la scrittura ha rappresentato un rifugio per te: quando hai cominciato a sentire il bisogno di scrivere e quando ha iniziato a prendere forma “Aria Precaria”?
E’ stata una forma di terapia home made! Dopo tutte quelle situazioni lavorative avverse ero arrivata ad un bivio: lasciarmi andare completamente alla disperazione oppure reagire. Così ho iniziato a scrivere tutte le mie disavventure dopo poco più di un mese, senza nemmeno accorgermene, avevo tra le mani “Aria Precaria”.
Tornando indietro cambieresti il tuo percorso di studi o qualche tua scelta professionale?
Assolutamente! Non tanto il percorso formativo quanto quello professionale. Sicuramente direi di no a tanti lavori gratuiti fatti solo con l’aspettativa di un futuro impiego che puntualmente si rivelava inesistente.
Se la flessibilità non fosse malata, aspireresti comunque ad un contratto a tempo indeterminato come unico mezzo per raggiungere una stabilità professionale e personale?
Se il lavoro a tempo indeterminato fosse quello giusto per me, assolutamente sì. La flessibilità in Italia non esiste. Servirebbero importanti cambiamenti in diversi settori e non solo sul lavoro. Fino a che tutto questo non accadrà, il lavoro a tempo indeterminato rimane l’unico mezzo per aprire un mutuo, ad esempio, indispensabile per comprare qualcosa a rate o per avere un contratto d’affitto non in nero.
Il tuo libro può definirsi il manifesto della generazione precaria, una generazione che sa reinventarsi come te. Qual è la molla che è scattata e ti ha portato a crearti un lavoro?
Non sono una stupida, ero stanca di ricevere continui complimenti per il lavoro svolto accompagnati dalla più totale assenza di riconoscimenti sia monetari che professionali. Perché continuare a investire tempo e vita per qualcuno che non solo non lo apprezzava ma che anzi, ne traeva vantaggio personale? Da queste considerazioni è nata l’idea di lavorare per conto mio. Precaria per precaria, almeno lo sarei stata consapevole di quanto, quando e per quanto.
“Aria precaria” è permeato da un tono ironico e amaro allo stesso tempo, ma mai cinico. é sempre presente una speranza di fondo, una speranza che non ti abbandona mai. Dove riesci a trovarla?
Non è facile non abbandonarla, è un lavoro lungo e doloroso che alla fine ti ripaga di ogni cosa. Io la trovo nella vita stessa. Non esiste solo il lavoro: ci sono le passioni, gli amori, gli amici e la famiglia e più di ogni altra cosa c’è una prepotente voglia di rivoluzione. Se le cose non funzionano si cambiano e non è abbattendosi che si arriva ai risultati, per lo meno io la penso così.