Sfilano uno dopo l’altro, muniti di telecamera e macchina fotografica. A Mirandola, a Cavezzo, a Novi di Modena; da una parte ci sono loro, i curiosi, e dall’altra chi ha perso tutto. Mentre i terremotati, casco in testa e busta in mano, aspettano di poter entrare nelle loro case per cercare di recuperare qualcosa, i curiosi cercano l’inquadratura migliore. Arrivano in auto o in moto nei luoghi violentati dal sisma; parcheggiano, fotografano, commentano e poi tornano a casa, come se fosse una gita fuori porta, in una domenica qualsiasi.
Mi chiedo che emozione si possa provare a speculare sul dolore degli altri, in cambio di una foto da esibire a parenti e amici che dimostri la propria (inutile) presenza sul luogo del disastro.
Gli sciacalli della sofferenza altrui ci sono sempre stati. C’erano a Cogne, per fotografare la villetta in cui fu ucciso il piccolo Samuele Lorenzi, ad Avetrana, teatro dell’omicidio della quattordicenne Sarah Scazzi e si sono visti anche sull’isola del Giglio, pronti a farsi immortalare con la nave inabissata sullo sfondo. Non importa se sotto quella nave c’erano ancora dei corpi da recuperare, l’importante era esserci e soprattutto farlo sapere agli altri.
È pur vero che duemila anni fa Lucrezio nel De rerum natura scriveva di quanto fosse piacevole osservare dalla riva una nave che colasse a picco “e non perché rechi piacere che qualcuno si trovi a soffrire,/ma perché è dolce scorgere i mali di cui siamo liberi”. Ma allora il termine spettatore aveva ben altre connotazioni e quello del poeta latino era solo un esorcismo velato dalla poesia.
Oggi la moltiplicazione degli schermi ha decretato il trionfo dell’apparire, dove la realtà prende corpo nella misura in cui è proiettata su uno schermo, anche quello limitato di una fotocamera digitale o di un telefonino. Perciò anche la tragedia diventa spettacolo fino a travolgere le percezioni, a rubare le emozioni, a snaturare il senso intrinseco degli eventi, spingendo alcuni a prendervi parte con solidale indifferenza.
Di fronte a queste ripetute dimostrazioni d’imbecillità io, da essere umano, mi vergogno. E parafrasando Battiato, posso solo aggiungere che in quest’epoca di pazzi ci mancavano gli idioti del turismo dell’orrore.