Kombini, o Combini, è il termine usato in quel meraviglioso posto che è il Giappone per indicare i mini-market aperti 24 ore su 24. Direi che è molto probabile che “combini” sia un termine declinato dall’inglese “convenience”, come “beer” che diventa “biru” o “chewing gum” che in Italia diventa “cingomma”. Dico ciò perché dopo che ho sentito il bassista di un gruppo OI! di Tokyo, chiedermi se avevo paura dell’ “ichquick” e avendo capito che intendeva “earthquake”, niente mi sorprende più…
Ricordo che cercava di dirmi che amava l’HC (hardcore) TORINO, ma dicendo #*%&olino, io capivo “mandolino” e di conseguenza lo guardai un po’ male, ma chiarito il fraintendimento, per suggellare la nostra amicizia, mi versò TUTTO il contenuto del suo bicchiere nel mio.
Cosa che aveva fatto anche una sua amica poc’anzi, col risultato che non seppi più cosa diavolo stavo bevendo. Ma il posto era veramente bellissimo e tutt’oggi, mi sembra di aver assistito al miglior concerto punk della mia vita, lì in quel di Waseda, lungo la Tozai Line di Tokyo. Purtroppo, è altresì vero che un americano che sembrava il Big Jim con le infradito, mi ha chiesto dove si trovasse il festival per “reaggae lover” e alle mie indicazioni, lui mi abbia risposto “grazie” in italiano. Sarà stata forse la mia incredibile e fluente pronuncia che ha denunziato le mie origini italiche?
Ma a parte questo, apro una parentesi che non ha nulla a che fare con kombini (combini, convenience store), ma ha a che fare con la malcelata intolleranza diffusa verso l’Asia. Mi è capitato spesso e volentieri di dire: “sono stata in Giappone” e sentirmi dire “che schifo il Giappone” o “i giapponesi mi stanno antipatici” o “è l’ultimo posto in cui andrei”.
Va bene, ognuno è libero di pensare ciò che vuole, ma:
1) non sto organizzando un tour guidato o una migrazione di massa. Ho detto che IO SONO STATA IN GIAPPONE e fidati che, chiunque tu sia, non ho intenzione di obbligarti a venire con me, se decidessi di tornarci.
2) provate a convertire la frase applicandola ad un altro paese a caso, che ne so… il Messico. La frase risulterebbe così “mi fa schifo il Messico e odio i messicani”. Leggila bene. Non suona dannatamente razzista?
3) no, non bisogna essere ricchi per andare in Giappone. Costa come una qualsiasi capitale europea (volo a parte). Il Giappone era molto caro negli anni Novanta, ora non è più proibitivo. Ok?
4) in Giappone non ci sono suicidi di massa. Sì, hanno un profondo senso della dignità e dell’onore, ma no… non si suicidano con così tanta facilità. E no… non vanno in giro con delle spade per traforarsi il ventre se il capo gli sgrida o se sono in ritardo di 5 minuti.
Ma come al solito divago.
Parliamo dei Kombini (combini, convenience store) che sono questi negozietti carinissimi aperti tutti i giorni e tutte le notti. Vendono ogni cosa e in più si possono spedire pacchi, mandare fax, fare le fotocopie, prelevare, pagare le bollette. Insomma… fanno pure le patatine fritte.
C’è il reparto con le riviste e i manga, in cui si possono vedere donne e uomini di ogni età leggere tranquillamente i fumetti senza poi comprarli.(c’è anche un termine in giapponese che indica la pratica di leggere manga nei kombini senza comprarli, ma non mi viene in mente).
C’è il reparto “igiene della casa e della persona” con mascherine, tinte, rasoi e cremine varie… Se vi capita di andare in Giappone, state attenti ai rasoi, poiché persino quelli usa e getta fanno quello che devono fare e cioè TAGLIANO! …io mi sono aperta certe voragini.
E poi c’è il reparto roba liofilizzata. …e qui c’è da star male. Trattasi di primi piatti (udon, soba, noodle, ramen) brodosi. Il prezzo va dai 105 ai 298 yen (cioè da uno a tre euro circa). Compri la tua “cup” vai in albergo (dove c’è sempre un bollitore), versi l’acqua bollente, aspetti dai tre ai cinque minuti e trac! Un dignitoissimo piatto di roba viscida e brodosa, ma molto molto saporita e nutriente.
Quest’anno ho apprezzato molto i tagliolini con dentro due frittatine e un po’ di naruto (che sono quelle fettine di wurstel di pesce). Ci sono parecchi gusti e la scelta è infinita. Ah… il Giappone non è un paese per abulici.
C’è il reparto onigiri che sono i triangolini o le pallette di riso che raramente superano l’euro di costo. Sono molto buoni e riempiono.
A mio avviso aggiungerei un po’ di sale, ma io sono una drogata di cristalli salini e non faccio testo. Gli onigiri sono la perfetta merenda per i bambini, gli studenti e le donnine attente alla linea… altro che merendine e puttanate. Riso, alga e in alcuni casi anche del pesce. Io ho divorato quelli con dentro le bricioline di salmone alla griglia. Sbavo. Il riso è quella roba che quando ti entra nello stomaco si gonfia e ti dà un senso di benessere e sazietà salubre.
Uh… e poi ci sono i paninetti. I miei adorati paninetti giapponesi che si chiamano tamago. Credo di averne mangiati circa cinquanta in venti giorni. Sono fondamentalmente dei tramezzini con gli angoli saldati ed un ripieno che va dal dolce (burro di arachidi, burro e sciroppo d’acero, marmellata, mascarpone..) al salato (tonno e mayo, uova strapazzate…). Il prezzo va dai 126 ai 147 yen (un euro-un euro e mezzo). Mi sono comprata pure l’attrezzo per farli, ma non mi vengono perché le istruzioni sono in giapponese.
Una segnalazione: puramente indicativa, per il reparto pesce secco, poiché non ho avuto il coraggio di assaggiare nulla. Beh, in questo scaffale potete trovare piccoli tentacoli di polpo, calamaretti, seppioline e pescetti interi (con tanto di occhi e testa) essiccati e confezionati pronti per essere sgranocchiati. Una volta ho fatto un gita su battello lungo il Sumida-Gawa in mezzo a vecchi giapponesi che ingollavano pesce secco manco fossero patatine. Se mai tornerò in Giappone mi costringerò ad assaggiarli. Promesso! Quest’anno ho assaggiato l’umeboshi e credo sia più che sufficiente.
L’ume è una sorta di prugna-albicocca aspra salata e sott’aceto. Mi è piaciuta parecchio e ho portato un paio di confezioni in Italia. L’80% delle persone che l’ha mangiata dice che fa schifo. Il 10% che è strano-strano (una mia amica mi ha detto che sa di panino al salame, mayo e cetrioli. Credo che sì, credo sia una definizione che calza). Dicono che faccia benissimo allo stomaco e abbia poteri sovrannaturali. I kombini (combini, convenience store) non vendono solo cibo confezionato, ma anche roba fresca come gli yakitori che sono spiedini di pollo e cose varie o dei cosi che non so come si chiamano, credo manju, ma non ne sono sicura. Se siete stati bambini dagli anni Settanta in poi, vi saranno familiari. Sono quelle palle di pasta di riso (mochi) ripiene di cose e cotte al vapore. Nei cartoni animati vedevi che a scuola Mila o Ranma o Carletto, li addentavano e davano un senso di morbidezza infinito. Ci sono anche dei vasconi di brodo ripieni di cose strane di forme ancora più strane. Tu ti prendi la tua scodella e la riempi con quello che vuoi. Questa cosa si chiama oden e si tratta di pesce, crostacei, verdure, radici, uova e cose varie bollite, fritte e ributtate nel brodo.
FINE PRIMA PARTE*
*la verità è che ho bisogno di una giustificazione etica per tornare (per la terza volta) in Giappone. L’idea di dover approfondire la questione “kombini” e scrivere cosí una seconda parte, mi sembra un’ottima ragione per un viaggio nel Paese del Sol Levante. No?