Era ora. Stéphane Delorme, caporedattore dei Cahiers du Cinéma consacra un sentito attacco alla cultura geek nel numero di maggio (n. 678). Gli esperti (o del fumo negli occhi) mette in luce come il successo di tre film dell’anno passato, Millennium, Drive e La Talpa, (film di altissima qualità, sia ben chiaro), sia in realtà frutto della cultura geek. Finalmente la cinéphilie dei Cahiers sfodera le sue armi desuete per una giusta causa. L’estetica (e non solo) contemporanea è soggetta a una dittatura. E non se ne può più.
La differenza tra il cinefilo e il geek, secondo Delorme, è che il geek sa e mostra di sapere, adora i segni che riconosce, mentre il cinefilo ama. Millennium, Drive e La Talpa, quindi, sono elevati a capolavori perché fanno degli esperti, dei tecnici, degli eroi. L’hacker, l’autista e la spia, che eseguono alla perfezione il loro mestiere e vedono il mondo attraverso il prisma del proprio limitato campo d’azione. E poi l’attenzione per il dettaglio (spesso inutile ci tiene a dimostrare Delorme), per quei piani calibrati e quel montaggio simmetrico. L’ossessione per i clin d’oeil allo spettatore: occhiolini dove gli si permette di riconoscere qualcosa che già conosce per poter dire, “ah ecco!”. Ma oltre all’ecco, per Delorme, non c’è un bel niente, o meglio c’è un compitino ben fatto e piacevole. Il problema non sono i tre film in sé, infatti, ma il clamore ingiustificato che hanno ottenuto. Quest’estetica misurata e calibrata come un orologio svizzero, se vogliamo, richiama sempre Kubrick. Solo che in Kubrick, nei suoi contenuti come nell’impianto formale dei suoi film, non si fa che mettere in guardia contro l’assoggettazione dell’umano alla tecnica.
Il motivo di questo successo ingiustificato è che lo spirito del tempo si fa sempre più invasivo: viviamo in un mondo dominato dai geek. E la cultura geek è legata alla tecnica: eleva il tecnico e la tecnica a fondamento, ne fa il proprio punto di vista sul mondo. In politica, in azienda, nel cinema e nei media, il tecnico fa il bello e il cattivo tempo, basta adottarne i termini per ottenere consensi ogni dove. La tecnica si basa sulla conoscenza dei codici e degli strumenti e finisce per fare di questi ultimi l’obiettivo anziché il mezzo. E’ il momento di tornare alle origini e ai fini, umani, della tecnica. Perso il suo significato originario, quello di mezzo (che dunque trasmette qualcosa), la tecnica è divenuta un involucro vuoto.
Il tecnico è colui che sa cosa fare nella situazione specifica ma ignora tutto il resto. Manca di olismo ma applica il suo metodo alla perfezione. Ha delle competenze (skills) ma non ha filosofia. Al tecnico manca la visione d’insieme, parte da presupposti consolidati ma non li mette in dubbio, adotta un punto di vista efficace ma è incapace di uscire da quel suo stesso punto di vista. Il tecnico ruba i leaks e li diffonde ma non li interpreta (o finge di); vuole l’opendata ma non si occupa di quali dati pubblicare né di come farlo; afferma l’importanza dei tweet senza occuparsi dei contenuti; guarda il contenente ma non il contenuto. L’eccesso del pensiero geek è la deriva del McLuhaniano, “il medium è il messaggio”, talmente accecato dal lato tecnico del mezzo, finisce per dimenticare di leggere il messaggio.
Ecco perché la cinefilia può essere un’arma contro questa moda imperante. La cinefilia è esclusivamente umana, locale e specifica. Osserva il lato emozionale della questione, spiega che un film è bello e un altro no, nonostante sembrino, tecnicamente, uguali. Il punto della questione sfugge sempre alla norma, necessita di un riadattamento costante dello sguardo. La corrente anti-geek non è contro la rivoluzione digitale ma ne vuole piuttosto cambiare i connotati : da rivoluzione tecnologica a rivoluzione culturale.
Fermarsi alla tecnica è il più grande degli errori per lasciarsi abbindolare da chi la tecnica la utilizza ai propri fini. Facendoci credere che una norma perfettamente valida nel suo ambito, finanziario o ingegneristico che sia, possa applicarsi senza danni anche al nostro.