Nell’ultima settimana ci sono stati i festeggiamenti per il 50 anniversario dello studio Baker & McKenzie in Italia. Ho appreso che lo studio, nato nel 1949 a Chicago, molto più tardi di altri importanti studi di matrice statunitense, è stato il primo a internazionalizzarsi. Per la precisione è stato l’unico con la missione dell’internazionalizzazione. Oggi Baker & McKenzie ha 62 uffici in 49 paesi nel mondo, 4000 professionisti e un fatturato di 2,27 miliardi di dollari.
Sono più di dieci anni, cioè da quando sono entrato in questo mondo, che per un non avvocato come me e con traduzione letterale dall’inglese, si può definire oggi mercato legale. Ho sempre sentito parlare di Baker & McKenzie dagli avvocati, ma mai con un tono di totale apprezzamento sul posizionamento e sulla qualità di questo studio, sul suo approccio troppo industriale, secondo alcuni e su una politica molto mirata a economie di scala.
Guardando lo studio con maggiore attenzione mi sono però reso conto che questo studio, arrivato in Italia nel 1962, oltre ad essere un aggregato di numeri, uffici, uomini e donne, e ad aver dato alle istituzioni classe dirigente, Christine Lagarde, una donna, attualmente a capo del Fondo Monetario Internazionale dopo le disgrazie di Dominique Strauss-Kahn, è qualcosa di più. E questo qualcosa di più lo si percepisce, o per lo meno io l’ho percepito, pensando a quel 1962.
Nel 1960 l’Italia uscita perdente dalla seconda guerra mondiale aveva ospitato le olimpiadi romane, grande e virtuoso esempio, forse l’unico o uno dei pochi, di capacità del nostro Paese di costruire infrastrutture efficienti senza costi esorbitanti rispetto alle aspettative. Quando Baker & McKenzie è arrivato in Italia nel 1962 trovava davanti a sé un Paese, probabilmente ancora con molte ferite, soprattutto a livello di convivenza sociale tra gruppi politici che dopo il 25 aprile 1945 non avevano ancora definitivamente chiuso i conti, ma con tanto entusiasmo, voglia di crescere, capacità espansiva e creativa, onestà intellettuale e morale e una società non ancora saturata dai consumi.
Pensavo l’altra sera durante il fantastico ricevimento milanese a Villa Necchi Campiglio: sarebbe bello se qualcuno, tra cui le personalità politiche intervenute, facesse un cenno al valore storico e politico di un cinquantenario celebrato oggi, in un Paese moralmente e intellettualmente corrotto, dove si scambia l’ipocrisia con l’onestà, e poi si scommettono milioni di euro in un anno, dove alcuni politici inducono la popolazione all’evasione, dove c’è chi non capisce il senso di delazione e induce gli interlocutori a farlo.
Quella sera, in quello splendido scenario, nei rari momenti di solitudine e di riflessione pensavo che forse sarebbe bello se chi ha aiutato il Paese a crescere 50 anni fa, riscuotendo da questa crescita i propri legittimi vantaggi, lo facesse anche oggi, provando attraverso la propria influenza e nel proprio più o meno piccolo ambito di interesse a donare all’Italia di oggi quell’entusiasmo e quell’onestà intellettuale e morale di cui il Paese, e tutti noi che vi operiamo abbiamo bisogno. Anche per continuare a riscuotere i nostri legittimi vantaggi.