La visita ad Auschwitz della Nazionale Italiana, induce a riflettere sulla profonda ferita che la barbarie nazifascista ha aperto nella storia dell’umanità. I volti compassati e gli occhi lucidi dei nostri atleti seduti sul binario della morte, ci regalano un’immagine finalmente umana, lontana da quella patinata che la nostra stampa sportiva, o meglio il filone gossipparo di quest’ultima (quello più in voga negli ultimi anni…), è solita propinarci.
Quei volti però non devono trarci in inganno, nonostante la Storia abbia già scritto la fine di quelle assurdità, nei nostri stadi non sono rari i cori di stampo razzista, gli infami sfottò verso i napoletani, i buuu verso i calciatori di colore, e gli striscioni alzati in onore di carnefici come Arkan
che con le sue Tigri (un corpo d’armata composto di ex galeotti, hooligans della Stella Rossa, patrioti ultranazionalisti) è stato responsabile degli eccidi più efferati della guerra che ha dilaniato i Balcani negli anni Novanta. Un esempio di quanto il calcio possa essere uno strumento di comunicazione di massa (ovviamente in negativo stavolta), non a caso in passato molti dittatori hanno cercato di appropriarsene, e molti politici anche dei nostri giorni hanno spesso cercato di farsi ben volere dalle curve facendosi fotografare in atteggiamenti quantomeno ambigui (per info chiedere alla Polverini…)
E anche gli stessi giocatori non sono nuovi ad atteggiamenti del genere, dal saluto romano di Di Canio alla croce celtica sullo striscione esposto in maniera fiera da Buffon, sul palco del Circo Massimo durante la vittoria dei mondiali del 2006.
Appunto Buffon, il capitano della nostra nazionale, stamattina ha posto una corona di fiori accanto al muro delle fucilazioni… speriamo che questa esperienza gli abbia insegnato qualcosa…